7 aprile 2024 ore 18,00
CasaDelJazz Roma
Registrato tre anni dopo «Aspiciens Pulchritudinem», suo primo album di piano solo, «Skies of Sea» mette in mostra i rimarchevoli progressi compiuti in questo lasso di tempo dal musicista siracusano, sia per quel che concerne la tecnica strumentale che il linguaggio espressivo, sempre più maturo e personale. Dopo esser stato per almeno un trentennio fra i più apprezzati batteristi jazz italiani, Francesco Branciamore aveva ancor meglio messo in luce le sue qualità di compositore e arrangiatore in «Remembering B.E.», disco in cui non suona alcuno strumento ma rende omaggio a Bill Evans dirigendo un sestetto cameristico, e dimostra ora che l’inaspettata e coraggiosa prova pianistica del 2018 non è stata affatto una parentesi estemporanea nel suo percorso artistico. Lo fa con un secondo ed ancora più convincente album solitario, registrato nel medesimo studio e con lo stesso pianoforte. I due anni di forzata clausura per la pandemia gli hanno consentito di affinare ulteriormente la sua tecnica pianistica, grazie ad una costante pratica strumentale, ma anche di mettere a punto nuovi ed interessanti spunti musicali. «Skies of Sea» si presenta come una sorta di suite, divisa in quattordici brevi e pregnanti bozzetti pianistici di durata compresa fra i due ed i tre minuti e mezzo, capaci di toccare le atmosfere più diverse, dall’ipnotico e suggestivo brano che dà il titolo al disco al toccante e riuscito omaggio a Chick Corea di A Prayer for Chick. Queste quattordici preziose gemme confermano come la ricerca introspettiva e la riflessione continuino a rappresentare gli assi portanti della musica di Branciamore, cui il termine jazz sembra andare sempre più stretto. Difficile stilare una graduatoria, ma ci piace ricordare ancora l’intimo e meditativo Deep Inside, quasi un largo, così come la melodia cantabile di The Remaining Time o l’accorato lirismo di Soul Touch. L’incalzante incedere ritmico del finale With Eyes on the Sky sembra rappresentare sia il naturale sviluppo del brano iniziale che l’ideale chiusura di un album fortemente evocativo, che non sembra lasciar nulla al caso.