Lunedì 17 giugno Stefano Di Battista sarà in concerto alla Casa del Jazz per presentare il nuovo album La Dolce Vita (Warner Music), in cui omaggia la musica italiana più bella, reinterpretando meravigliosi brani di grandi artisti come Paolo Conte, Lucio Dalla, Nino Rota, Domenico Modugno, Nicola Piovani, Armando Trovajoli, Piero Umiliani, Ennio Morricone, Renato Carosone, Bobby Solo, Lucio Quarantotto.
Di Battista è uno dei sassofonisti di punta della scena nazionale ed europea, con collaborazioni prestigiose tra le quali brillano i nomi di Michel Petrucciani, Elvin Jones, Jacky Terrasson, Jimmy Cobb, Richard Bona, Fabrizio Bosso, Flavio Boltro, Rita Marcotulli e, in ambito pop, Claudio Baglioni, Renato Zero, Adriano Celentano, Jovanotti e Tiromancino.
Disponibile in vinile, cd e digitale (streaming e store https://bio.to/StefanoDiBattistaLaDolceVita), La Dolce Vita arriva tre anni dopo la dedica al Maestro Ennio Morricone con il disco Morricone Stories.
Insieme a Di Battista sul palco della Casa del Jazz, una band eccezionale formata da Matteo Cutello (tromba), Andrea Rea (piano), Daniele Sorrentino (contrabbasso) e Luigi Del Prete (batteria).
La dolce vita non è solo il titolo del film di Fellini che dà nome al nuovo disco, ma la porta di ingresso a un intero mondo. Un mondo fatto di fantasie cinematografiche ma anche di vita, passioni, eleganza, desiderio, bellezza e sogni che hanno preso vita in un periodo particolare della storia italiana e che si sono riverberate per i decenni seguenti arrivando fino a noi.
Stefano Di Battista ha voluto farsi illuminare da quel riverbero, e ha deciso che era giunto il momento di realizzare un nuovo disco che mettesse insieme lo splendore della grande musica italiana di un tempo e la necessità di mantenerla viva, brillante, eterna:
“Ho voluto esplorare una parte del grande e bellissimo repertorio italiano dagli anni della “dolce vita” in poi e portarlo all’attenzione del pubblico internazionale di oggi. Sono musiche che rappresentano al meglio la cultura italiana, le capacità dei nostri grandi compositori, non solo in quella che senza dubbio è stata “l’età dell’oro” del nostro Paese ma anche nell’eredità di quegli anni che ancora ci portiamo dentro”.
Così, accanto alla splendida composizione di Nino Rota che offre il titolo all’album e immediatamente ci proietta in un mondo fantastico e senza confini, troviamo Paolo Conte con la sua Via con me, Nicola Piovani con la leggendaria La vita è bella, canzoni pop come la sorprendente Una lacrima sul viso portata al successo da Bobby Solo ma scritta da Iller Pataccini con testo di Mogol, e l’eco dell’opera nella ormai classica Caruso di Lucio Dalla.
Il tutto, tenuto insieme da un sentimento unico e forte, dal suono perfetto di una band meravigliosa formata da Matteo Cutello alla tromba, Fred Nardin al piano, Andrea Sorrentino al contrabbasso e André Ceccarelli alla batteria, ma e soprattutto dalla capacità di Stefano Di Battista di trasformare ogni brano in qualcos’altro, accompagnando chi ascolta in un magico altrove che in questo caso è del tutto italiano.
“Lavorando a questi brani mi sono trovato in un mondo bellissimo”, dice ancora Di Battista, “e ho pensato che il modo migliore per affrontarli era quello di lasciarsi guidare dalle melodie, di entrare nelle matrici melodiche e trovarne il cuore per improvvisare. Non brani con degli assolo, ma tutt’uno: esposizione e improvvisazione legati insieme”.
Alcune delle scelte di Di Battista possono apparire singolari, come Con te partirò scritta da Francesco Sartori e Lucio Quarantotto, portata sul palcoscenico mondiale da Andrea Bocelli, che nelle sue mani diventa una sorta di magico portale tra passato e presente; o come la “consumatissima” Volare (Nel blu dipinto di blu) di Domenico Modugno e Franco Migliacci, che Di Battista porta fuori dell’ovvio e fa rinascere cogliendo in pieno lo spirito ‘surrealista’ della canzone.
“Proporre brani come questi magari è una scommessa”, dice il sassofonista, “ma io ho sempre amato farle. Alla fine, mi sono reso conto che proprio questi, forse, erano i brani più interessanti dell’album”.
Ma non basta: definire “eclettico” il percorso di Di Battista all’interno dei meccanismi melodici del grande repertorio italiano è insufficiente a spiegarne la ricchezza. Da bravo bandleader il musicista guida i suoi compagni in territori molto diversi tra loro, e in sentimenti altrettanto distanti: dalla brillante ironia di Tu vuò fa l’americano di Renato Carosone (https://www.youtube.com/watch?v=3Sif0lacQt8), dove le matrici americane e napoletane si perdono nell’improvvisazione senza confini della band, alla malinconia sottile di Sentirsi solo firmata da Piero Umiliani per il film Audace colpo dei soliti ignoti: “Un brano che io non conoscevo”, sottolinea il sassofonista, “tratto dalla colonna sonora di un film interpretato da Chet Baker. Ha un clima incredibile, non ha una melodia lunga da canzone: è “sparsa”, ha un’atmosfera che ti porta in quel mondo “blue” che è proprio dell’universo di Baker, vicino a quel suo demone che ha l’affascinante sapore del mistero”.
Ma l’elenco dei capolavori contenuti nell’album è ancora incompleto: c’è la magia di Roma nun fa la stupida stasera dell’inarrivabile Armando Trovajoli e della coppia Garinei e Giovannini, c’è il fascino inaudito della memoria con l’Amarcord felliniano trasformato in musica da Nino Rota, c’è l’arte sopraffina dell’Ennio Morricone de La Califfa, in un equilibrio sottile tra passato – le composizioni – e presente – le interpretazioni di Di Battista e della sua band.
“Il confronto con il passato ci ha fatto sentire molto piccoli”, conclude Di Battista, “c’è un livello di arte in quelle musiche che oggi sembra difficile da raggiungere. Ma è proprio nel riproporre queste musiche, nel farle vivere nell’oggi, che troviamo soddisfazione. Quindi voglio godermele: quando suono più mi diverto e più sono felice, e queste musiche mi danno la possibilità di navigarci dentro, mi lasciano spazio per improvvisare, di inventare, di essere legato alle mie radici, alla mia cultura italiana, ma di guardare anche oltre, perché non erano provinciali, non avevano confini anche quando sono state scritte, con le loro melodie, con i loro cromatismi affascinanti, con la loro gioia”.