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Irene Robbins (In my words)

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2022 – Splasc(h) Records

  1. Holy Man (Holy Land) (Cedar Walton, Irene Robbins) – 3’47”
  2. Birk’s Works (Dizzy Gillespie) – 5’21”
  3. Speak No Evil (Wayne Shorter) – 5’44”
  4. Go Where the River Flows (Irene Robbins) – 4’54”
  5. Round Midnight (Thelonious Monk) – 8’23”
  6. Song for My Father (Horace Silver) – 7’39”
  7. Tones for Jones Bones (Chick Corea) – 5’01”
  8. Search for Peace (McCoy Tyner) – 6’48”
  9. Footprints (Wayne Shorter) – 5’58”

Detroit Group (tracce 1, 5, 7, 8, 9)

  • Irene Robbins – Voce
  • Bill Meyer – Pianoforte
  • Ralphe Armstrong – Contrabbasso
  • Gayelynn McKinney – Batteria
  • Alex Colista – Sassofono

Italian Group (tracce 2, 3, 4, 6)

  • Irene Robbins – Voce
  • Ivano Borgazzi – Pianoforte
  • Giannicola Spezzigu – Contrabbasso
  • Stefano Calvano – Batteria
  • James Carter – Sassofoni e Flauto

Irene Robbins pianista, cantante e compositrice di Detroit, propone in questo ultimo progetto discografico il suo viaggio a ritroso nella storia del jazz afro-americano adattando ad ogni composizione un testo originale. Nel disco – registrato tra Detroit (nel leggendario studio di Eric Morgeson, fucina di diversi grammy award nell’ambito jazz) e l’Italia – si alternano due ensemble a sostenere l’energica vocalità della Robbins: il primo vede impegnati musicisti veterani della scena jazz di Detroit (Bill Meyer al pianoforte, Ralphe Armstrong al contrabbasso, Gayelynn McKinney alla batteria ed Alex Colista al sassofono), il secondo musicisti autorevoli della scena italiana ed internazionale (Ivano Borgazzi al pianoforte, Giannicola Spezzigu al contrabbasso, Stefano Calvano alla batteria, James Carter al sassofono e flauto).

La leader che, quindi, predilige il quintetto, mostra un interplay che fluisce senza forzature nel modo più naturale possibile ottenendo una coesione perfetta con entrambi gli ensemble.

I nove brani di «In My Words» – un solo tema composto interamente da Irene Robbins Go Where The River Flows – distribuiti quasi simmetricamente tra le due band, sono in gran parte pensati proprio come un approfondimento affidato alla voce delle composizioni scritte dai giganti della storia musicale afro-americana: Dizzy Gillespie (Birk’s Works), Cedar Walton (Holy Man, Holy Land)), Wayne Shorter (Footprints), Thelonious Monk (Round Midnight), Horace Silver (Song for My Father), per citarne alcuni.

Tra i momenti di maggiore intensità vanno citati l’incipit di Holy Man, Holy Land  di Cedar Walton – con Irene Robbins che sfoggia tutta la sua naturale aderenza vocale e poetica al gospel ed al soul, e Footprints, gioello del 1966 composto da Wayne Shorter che l’ensemble di Chicago arrangia con  toni morbidi e citazioni vocali e strumentali sviluppate mediante cicli e ripetizioni anche del testo cantato.

Con l’ensemble italiano insieme al sassofonista e flautista James Carter, Irene Robbins sceglie di registrare il suo brano originale Go Where The River Flows dal respiro maggiormente europeo, ed accenni all’idea timbrica, per simmetria melodica riproposta dagli strumentisti, ai panorami sonori allargati di Darius Millaud (al quale John Coltrane spesso si ispirava). In Song for My Father di Horace Silver Irene Robbins conferma la voglia di lasciarsi andare alla riproposizione di alcuni dei classici del jazz, che qui sono suonati con la classe che solo gli autorevoli performer possono permettersi. Pregevole l’assolo del sassofonista James Carter che in interplay con il contrabbassista Giannicola Spezzigu (questa volta al basso elettrico) ed il batterista Stefano Calvano, naviga seguendo rotte imprevedibili, tra cambi di ritmo e scambi strumentali di assoluto fascino.

L’estrema accuratezza della registrazione negli studi americani ed italiani è un ulteriore atout di un album che apre l’immaginazione di chi ascolta rilevando sfumature inedite ad ogni nuovo ascolto.