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Analisi varie e letture possibili del brano “Duke Ellington’s Sound Of Love” (Charles Mingus): Analisi formale

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(Nogales, Arizona 22 aprile 1922 – Cuernavaca, Messico 5 gennaio 1979)

4. Analisi formale

Dal punto di vista formale, il brano comprende una prima parte di 12 battute, chiamata Sezione A, divisa in 3 sezioni corrispondenti a altrettante frasi (a, b, c), corrispondente a un Blues criptato.

Infatti, benché questo possa apparire incredibile essendo lo spirito, il “mood” del brano apparentemente lontanissimo da quello di un blues in stile jazzistico in 12 battute che i luoghi comuni vogliono o gaio-vivo-eccitante-sfrenato o triste-cantilenante-nostalgico [4], le proporzioni e gli appuntamenti armonici sono quelli di un blues. Il carattere di questa sezione infatti, molto originale, è riflessivo, autobiografico: un carattere piuttosto curioso per un blues.

La struttura base di un Blues, ridotta ai minimi termini e divisa in tre sezioni di 4 battute per comodità di analisi, molto nota, è infatti:

(SEZ. a) |||| I | % | % | % ||

(SEZ. b) || IV | % | I | % ||

(SEZ. c) || V | % | I | % ||||

Questa struttura base viene, come è noto, riletta e complicata con estrema libertà dagli autori del jazz, quasi sempre a cavallo tra logiche tonali (di attrazione verso un unico centro, con meccanismi cadenzali, spesso con sostituzioni e mimetizzazioni e artifici vari che però non contraddicono questi meccanismi, eccetera) e modali; ma, sostanzialmente, alcuni punti vengono affermati allo stesso modo attraverso i decenni e gli stili, fedeli alla struttura base: per esempio, la prima sezione è sulla tonica; la sez. 3 apre con il V° grado o con una cadenza II – V – I o IV – V – I o ancora V – IV – I o sostituzioni, espansioni o compressioni di questa; eccetera.

Il nostro brano, nella Sez. A in 12 battute, non contraddice di molto questo schema di base:

(SEZ. a) |||| I | V7 | I | III7 ||

(SEZ. b) || VI7 | V7 | I | III7 ||

(SEZ. c) || II-7 | V7 | bIII,II,V (tritono),V7 | % ||||

La prima sezione di Duke Ellington’s Sound Of Love è quindi concepita come un Blues.

Del resto, come scrivo nello SPARTITO 2, lo stesso testo, nella Sez. A, cita espressamente il blues; e sonorizza questa parola con una “blue note”, e una piccola frase che si appoggia sulle note blues della scala impiantabile sulla tonalità del brano (Db): le note guida, la IIIa e la VIIa, sono esposte in questa frase in modo minore (Dob e Mi bequadro), mentre sarebbero ovviamente maggiori nella tonalità base, Db Maj. (Do naturale e Fa).

Questo mi è apparso come una scoperta importante e un primo campanello d’allarme che mi indicava chiaramente una forte adesione fra testo e musica, adesione “madrigalistica”, anche se questa definizione, in questo caso, ripeto, è più una provocazione che una descrizione categorica ineccepibile: uno strumento come l’analisi va forse usato calibrandone le categorie in base al genere musicale a cui si applica; ma anche forzature e provocazioni in passato hanno portato avanti la musica.

Altre volte Mingus, come è noto, ha fatto uso della struttura Blues con grande libertà, criptandola più o meno (“Good Bye Pork Pie Hat”), ma mai lo ha nascosto così. Il nascondimento è ottenuto soprattutto dalla dilatazione del metronomo, dal tipo di feeling (il “mood”) imposto dal carattere della sezione, come si è detto, carattere atipico per un Blues, dalla ricchezza nell’invenzione melodica (anche questa non frequentissima nei blues) e soprattutto dall’inserimento di due cesure nella progressione degli accordi: la prima fra la batt. 6 e la batt. 7 (i due accordi di dominante paralleli, VI7 che muove a V7), la seconda fra la 9 e la 10 (III7 che muove a II-7).

Il tutto combacia, ancora, perfettamente con la natura estremamente introversa del brano – e del suo autore, del resto. Si tratta, nel primo caso (batt. 6 – 7), di un artificio (cadenza evitata, ma con libero accostamento di dominanti) molto in uso nel jazz moderno.

Volendo, però, si può spiegare il fatto che un VI7 muova a un V7, e poi a un Imaj7, come segue.

Nel jazz moderno si usa affermare chiaramente la sovrastruttura di un accordo; tanto esplicitamente da suggerire nell’ascoltatore un senso di ambiguità tonale, ovvero di quasi-bitonalità.

Com’è noto, un accordo, armonizzato fino alla settima per terze, prevede una sua espansione possibile nella “triade superiore”, cioè la triade composta dalla sua IXa, l’ XIma e la sua XIIIa. Esempio: Cm7 (do minore settima) ha una triade superiore in Dm (re minore), formata dalla IXa di Do (re), la XIma (fa) e la XIIIma (la). Tanto che si può pensare Cm7,9,11,13 = Dm triad / Cm7, che si può interpretare come una trasformazione in sigla verticale (o polychord [5]) di una sigla orizzontale. Ovvero: l’accordo di do minore, sul modo dorico (ossia sulla scala modale costruita convenzionalmente sul secondo grado di una tonalità maggiore, in questo caso Sib), armonizzato fino alla tredicesima si può pensare come una triade minore costruita un tono sopra alla tonica, sovrapposta all’accordo base.

Fin qui, niente di strano né di veramente politonale; sono dinamiche causate dal sistema temperato e dall’armonizzazione [6] (è pure vero che ogni accordo espresso come una sovrapposizione di triadi si presta molto a essere concepito come una sonorità di confine tra una mentalità tonale e una politonale, e che il jazz moderno ama espandere questa possibilità, questo spiraglio, concependo allora situazioni davvero politonali in qualche modo ancora legate alla tonalità: un’ambiguità tra 2 toniche, ove l’una però è semplicemente il IX° grado della prima).

Ora, il modo ionico, che ha il IV° grado ovviamente “naturale”, lo si armonizza normalmente con la XIa eccedente, “#11” o “#4″, per evitare il contrasto tra la IIIa e la IVa o XIma: do maggiore ionico (cioè primo modo) armonizzato fino alla XIIIma per terze lo si pensa quindi lidio (come se fosse il IV° di Sol), quindi con una triade superiore (formata cioè dalla IXa, dall’XIa e dalla XIIIa) di Re: Cmaj7,9,#11,13 = D triad / C Maj7.

Quindi DbM7 = Eb (triad)/ DbM.

Ecco che il Bb7 / Ab7 / DbM della sez. A (il ” VI7 / V7 / I ” atipico di cui sopra) diventa comprensibile se si pensa che il DbM di arrivo altro non è che un Eb sovrapposto a un Db; quindi Bb / Ab / Eb è una trasfigurazione libera di una semplice cadenza V – IV – I, non tradizionale ma assimilabile a quelle tradizionali, se si accetta la forma di dominante riportata dagli accordi Bb7 e Ab7, trasformazione del tutto naturale in un Blues, normalmente impiantato su sonorità più misolidie che ioniche, e se si accetta che l’accordo si arrivo sia eseguito in una forma che esasperi la triade superiore: ovvero, se si concentra l’attenzione sulla possibile sequenza Bb / Ab / Eb (triade superiore di Db) invece che sulla sequenza originale dei bassi Bb / Ab / Db.

Così, l’originale ” VI / V / I ” può essere letto come un V / IV / I con basso sulla VIIa.

Questa possibile lettura è rafforzata dal fatto che la melodia, sul I grado (Db, ovvero Eb / Db), battuta 8, si appoggia sulla nota Bb, Va di Eb. Ho provato a suonarlo così, ovvero con una triade affermata di Eb sulla triade di Db, e funziona benissimo.

Stessi artifici sono usati ad esempio da Wayne Shorter in Footprints (altro blues): in alcune versioni appare, nel finale della “head”, un A7 che muove a un Cm7: inspiegabile. Ma la triade superiore di Cm7, dorico, secondo modo di Bb, è un Dm! Quindi il A7 muove alla triade superiore Dm, in un approccio quasi politonale, del tutto naturale in certo Shorter.

Spesso nel jazz moderno gli accordi di dominante muovono verso posizioni interne o superiori degli accordi, per cui un movimento cadenzale è spiegabile solo se l’accordo viene eseguito in una data forma.

Questa riflessione, tra l’altro, supporta la tesi di chi sostiene che il jazz moderno vada oggi in una direzione un po’ più basata sugli aspetti legati al suo essere in parte musica “esatta”, allontanandosi un po’ dal suo essere, contemporaneamente, anche musica “inesatta” e “aleatoria” (ma non troppo: il jazz resta legatissimo all’improvvisazione, ma cresce e si evolve [7]).

La Sezione B comprende 3 frasi simili, a, b, c, confermative, discendenti; la Sezione C, una a e una b simili per inizio e fine, ascendenti, come a pareggiare la direzione, e come un tassello che fa da ponte o interludio; la Sezione D, i 4 incisi a, b, c, d simili per direzione e costruzione; la Sezione E riporta praticamente identico il contenuto della sez. c della Sezione A, a conclusione.


[4] Caratteri, tra l’altro, corrispondenti ai feroci luoghi comuni con cui da sempre troppi si accostano alla musica afroamericana.
[5] O Poliaccordo, in questo caso “falso”, perché la siglatura verticale (nell’esempio, Dm/Cm7, ovvero triade di re minore di do minore settima) può essere ricondotta a una siglatura orizzontale semplice (Cm7/9/11/13); si ha un polichord reale quando questa operazione non è possibile (es. DM7/CM7, che sarebbe difficilmente traducibile in CM7/9/#11/13/#15) e quando le due parti della sigla (superiore e inferiore) non sono riconducibili a una stessa interpretazione scalare.
[6] Già molti brani per Big Band nell’era swing riportano l’armonizzazione dei fiati secondo le logiche delle triadi superiori, per dare più risalto a finali o a momenti di forza; es., i sax sull’accordo base, le trombe sulla triade superiore. Si trattava però qui di artifici sonori, timbrici, usati senza uno scopo funzionale.
[7] Con una velocità e con modalità quasi del tutto ignorate dai critici, specie quelli italiani, che sono rimasti alle categorie “free jazz = musica libera” o, ancora peggio, “free jazz = musica improvvisata” (in Ascension di Coltrane sono presenti logiche del tutto preordinate), “swing = musica superata” (perché le orchestre italiane di oggi non lo sanno suonare), “modale = Miles Davis di Kind Of Blue” (ma lo stesso Davis ha pubblicato Milestones prima di Kind Of Blue), “modulazioni per terze = Giant Steps” (ma lo standard Have You Met Miss Jones che contiene le modulazioni per IIIe maggiori è di decenni prima).