John William Coltrane
(Hamlet, NC, 23 set 1926 – New York, 17 lug 1967)
1.Acknowledgement (7:47)
2.Resolution (7:22)
3.Pursuance/Psalm (17:50)
John Coltrane tenor sax
McCoy Tyner piano
Jimmy Garrison bass
Elvin Jones drums
1. Acknowledgement
La “suite” si apre con una Introduzione “freely” in Mi maggiore in cui Coltrane suona una serie di quattro suoni (V, I, II, V) (in realtà tre suoni e uno, la V, ripetuto all’ottava) ascendente e discendente su un pedale della sezione ritmica in tonica.
La “fanfara” iniziale, come viene chiamata da molti critici, è in Mi: sensibile del Fa intorno a cui graviterà il brano successivo, la “fanfara” ha in realtà anche un significato di ordine ritualistico: così infatti il “ministro” chiama i “fedeli” a raccolta e invita alla concentrazione e al raccoglimento (l’usanza trova ancora largo spazio nella liturgia cristiana e in molte pratiche religiose orientali). Il Muezzin dall’alto del Minareto invita i fedeli alla preghiera con una cantilena modulata: Muezzín o Mueffìn in turco, Mu’adhdhin in arabo, significa “Colui che pronuncia l’ “Adhan”, “invito”). E’ l’Oremus cristiano: la chiamata è anche concetto fondamentale in materia di fede in diverse religioni. Coltrane descrive qui la propria chiamata alle Fede e contemporaneamente invita alla concentrazione e al raccoglimento.
Successivamente il contrabbasso solo lancia un pattern in Fa minore che verrà ripreso nel solo di sax e dalla voce e che rappresenta infine la sonorizzazione dei titolo dell’opera e dell’LP/CD nonché del titolo della preghiera finale.
Elvin Jones suona su una base ritmica latin.
Il pattern del basso è pulsante, profondo, antico: è semplice e allo stesso tempo densissimo e carico di blues feeling.
In realtà anche questo primo movimento è una preghiera: la forma (qui in 8 battute, con una frase di due misure ripetuta tre volte e una di due misure improvvisata, AAAB 2+2+2+2) corrisponde infatti alla costruzione di alcuni salmi ebraici e di altre composizioni sacre in cui un motivo viene ripetuto tre volte per concludersi in una antitesi (es., Salmo 135,16-17,19-20), una forma simile tra l’altro al blues arcaico, che a sua volta affonda le radici nella religiosità araba e africana, con la tipica costruzione “statement” (enunciazione) ripetuta + “response” (risposta), di solito AAB (forma che da origine alla forma “moderna” blues in 12 misure, 4 battute per sezione in cui si afferma sull’accordo di tonica, ci si sposta sulla sottodominante e si conclude sull’ultima serie di 4 battute di dominante e tonica [1]) mentre la ripetizione ostinata, elemento comune a tutti gli episodi della suite a livello armonico, melodico, ritmico, costituisce la base delle pratiche orientali di acquisizione della conoscenza e del raggiungimento della serenità interiore.
Il carattere orante di questo primo movimento, “ringraziamento” e “ingraziamento” è dato, oltre che dalla forma del chorus, dal caratteristico “blues feeling” del “cantilenare” la melodia principale di Coltrane galleggiando sulla ritmica sottostante [2].
Il tema è costruito sulla cellula di tre note V, IX, VII, cui segue una cellula identica una quarta sopra I, V, IV. L’unione delle due cellule (= A) compone un frammento (Fa, Sol, Lab, Sib, Do) del modo minore dorico di Fa esposto unitamente alle note Mib e Re (spesso Reb) [3].
Inizia in questi anni (e, come spesso accade, viene anticipato negli ambienti artistici ciò che sarà un messaggio di cui si faranno portavoce protagonisti dei movimenti politici di protesta successivi) un’attenzione alle culture di paesi non civilizzati e a culture religiose e a pratiche sociali fin qui calpestate o ignorate dall’occidente postbellico. Coltrane in questi anni conosce Malcom X e ne condivide la lettura che egli fa della situazione di oppressione dei neri, poco cambiata dal tempo dei campi di cotone; un’oppressione non più legata fondamentalmente alla discriminazione razziale ma alla subalternità economica e sociale del loro popolo come di molti altri del pianeta all’ordine dei capitalismo.
L’attenzione a musiche di origine extraeuropea e extramericana era già iniziata con l’avvento del jazz modale (o “neomodale”). L’approccio modale stesso, che rompe la gerarchia tradizionale “tonale” dei suoni, e lo stesso ostinato uso di frammenti pentatonici e il continuo ricorso a strutture blues, armonie basate su moduli intervallari diversi, è un richiamo alle radici di ogni cultura musicale. Coltrane pure conosceva linguaggi e forme ben più complesse. Così, già nelle prime battute la preghiera e l’invito accorato di Coltrane (esplicito nei messaggi redatti da lui stesso e riportati sull’ LP originale e sul CD riedito da Impulse, e implicito nelle forme musicali) è SPIRITUALE e UNIVERSALE.
Il primo solo di Coltrane viene costruito spostando in varie tonalità una cellula tematica costruita su V, VII, IX di una pentatonica minore. L’esposizione della prima cellula è in Fa minore. Coltrane la sposta poi in Sib-, in Mib-, poi in Lab-, ancora in Mib-, in Fa- e Sib-, poi in Sol- e Do-; accoppia successivamente le vane cellule costruendo pentatoniche minori complete e insiste sulla pentatonica dì impianto; si sposta poi con lo stesso sistema di trasporto su Reb- e Solb-, in Si-, Mi-, La-, Re-, Sol-, Do- in una progressione per quarte giuste ascendenti fino al Mib-: percorre così tutti i dodici centri tonali, inaugurando un approccio pan-tonale che farà da ponte col free jazz successivo.
Il tre – numero delle note della cellula usata -, quattro – l’intervallo usato per il trasporto – e dodici sono numeri con significati religiosi precisi nella religione ebraica (dodici tribù di Israele. dodici figli di Giacobbe…), cristiana (i 12 apostoli…) [4], ma anche nella religione Buddista: nel calendario Tibetano ogni anno è assegnato a uno dei 12 animali [5].
Inoltre, la logica costruttiva dei soli, delle strutture armoniche, delle armonie di Coltrane risponde quasi sempre a esigenze estetiche e di relazione col divino – così come il triangolo iscritto in un cerchio dati dalla progressione per terze e dal ciclo delle quinte: anche qui c’è un tre iscritto in un dodici! E’ evidente il riferimento non tanto a concetti religiosi quanto archetipici, rappresentati da elementi religiosi: e primo fra tutti all’unità nella Trinità cristiana: stesse riflessioni stanno alla base in realtà anche di tanta produzione di Bach che abbinava spesso riflessioni estetico-musicali a concetti religiosi e cabalistici. La simmetria del tre è rinforzata inoltre dal fatto che la prima e l’ultima delle tre note che compongono la cellula melodica che sonorizza il titolo della preghiera e del disco possono essere indistintamente considerate la tonica di due diverse pentatoniche su cui si può costruire la cellula stessa: I, III, I, IV oppure V, VII, V, I.
Al di là dei contenuti spirituali, è fondamentale notare come in questo lavoro Coltrane è compositore e esecutore nell’improvvisazione, situazione rara nel jazz, a parte pochi illustri casi come Ellington in quanto pianista (v. “Money Jungle” con Mingus e Roach). Escludendo alcuni lavori profetici in questo senso di Lennie Tristano e pochissimi altri, nessun jazzman aveva prima di lui riservato tanta attenzione alla forma e alla logica architettonica dei propri assoli: la forma dei chorus [6], del tema e dei soli [7], il modo di sviluppare un’idea tematica nell’assolo, di dosare le sostituzioni e le sovrapposizioni di scale nell’improvvisazione su ogni accordo, di guidare la tensione con grande autocontrollo e in posizione di direttore d’orchestra del proprio gruppo compreso se stesso come nell’esecuzione di una parte scritta e rispondente a precise idee formali, la concezione perfettamente organizzata eppure spontanea di ogni singolo lavoro, tutti questi elementi costituiscono un’ immagine nuova del musicista jazz, immensamente più consapevole, forte di una salda preparazione tecnica strumentale e teorica e sempre in contatto con la propria anima e con le tensioni dei mondo.
La cellula di Coltrane rotola come un giro di Valzer (altra trasposizione nella danza dei concetto della perfezione del tre)…In realtà il tre è anche un simbolo fallico; ha a che fare direttamente con la potenza creatrice e la fertilità. La croce stessa in realtà è un tre ed ha a che fare con la fertilità della morte. Riferimenti a elementi archetipici che hanno a che fare con l’inconscio collettivo si ritrovano come si è detto nella logica compositiva dì Bach come altri riferimenti a “memorie genetiche” musicali di altro tipo ma di uguale provenienza si ritrovano, con molta meno consapevolezza, in moltissimi autori della musica commerciale [8]. Questi collegamenti con forme musicali primitive costituisce sempre un elemento di forza nelle musiche che lasciano un segno, riscotendo tra l’altro paradossalmente un grande successo (in realtà, benché questo possa sembrare strano, si vende Bach nella musica colta quanto Paoli nella musica commerciale, e lo stesso A Love Supreme ha venduto fino a oggi più di 1.000.000 copie).
Il problema della consapevolezza o meno di tali contenuti nel lavoro compositivo di questi artisti è un falso problema. Il motivo è trattato meglio di come io possa mai fare da Massimo Mila in “L’esperienza musicale e l’estetica”, Einaudi 1956. Ad esempio, si veda l’esempio dell’analisi calligrafica: per quanto un compositore possa non aver alcuna intenzione di far passare certi valori a un’analisi della propria tecnica compositiva, ne possiamo trovare traccia nella sua “calligrafia” che tradisce e mette in luce i contenuti stessi della sua opera d’arte. L’opera d’arte in sé è anche espressione di quella zona dello spirito umano che altrimenti non si potrebbe esprimere se non attraverso sé stessa, per quanto le altre zone della persona possano esserne inconsapevoli; ecco che una canzonetta di Paoli, scritta per chissà quale motivo, si sporge sull’infinito. Paoli lo sa? Chissà.
Sembra poi che Steve Reich abbia ammesso come uno degli ispiratori dei minimalismo lo stile di Coltrane: rielaborare ostinatamente spunti melodici assolutamente minimi come accade in “A Love Supreme” senza mai far uso di tecniche classiche di variazione o contrappunto propriamente dette trovò nel Coltrane dei primi anni ’60 uno sperimentatore inconscio.
E’ veramente stupefacente la quantità di letture possibili di A Love Supreme. Davvero Coltrane aveva raggiunto spazi di ampiezza incredibile. Non credo quindi sia esagerato paragonare l’altezza raggiunta dall’opera di Coltrane di A Love Supreme all’opera di Bach. Ci si legge infatti lo stesso approccio religioso ma non sacralistico, lo stesso desiderio speculativo ma non logorroico, la stessa curiosità di scoprire l’ordine delle cose e la consapevolezza senza però indugiare mai sulle proprie scoperte: ma soprattutto la stessa bramosìa di esplorare a fondo ogni sistema da se stessi inventato per passare poi ad una successiva esplorazione e a nuove invenzioni, cosa che da sola fa di questo lavoro un’opera d’arte, musica d’arte, pura sperimentazione di forme fine a sé stessa, contenitore e contenuto di sé stessa come si conviene all’arte.
Il mettere in relazione testo di preghiera con suoni e costruzione metrica, così come ogni elemento con immagini e colori, è sempre stato in uso in ogni religione e in particolare nelle religioni delle popolazioni che costituiscono il meltin’ pot nordamericano in una apparente omologazione culturale: la cultura africana, pellirossa, latinoamericana.
In questo modo si lancia un messaggio dì unità integrale agli uomini, un invito alla fratellanza non sulla base di riflessioni etiche, ideologiche o morali ma sulla consapevolezza della fragilità della condizione umana da un lato e della reale possibilità di emancipazione attraverso il contatto con la divinità (o semplicemente con l’energia) dall’altro.
Coltrane prosegue il solo spostando nelle dodici tonalità (nel caso non fosse ancora chiara l’intenzione…) la frase dell’intro del basso (“A LOVE SUPREME”) riprendendola infine con la voce insieme a Jimmy Garrison (James Emory Garrison: Miami, 3 mar 1934 – New York, 7 apr 1976) in Fa minore e infine in Mib-, tonalità del secondo brano.
[1] Esempio in do: 4 battute DO, 2 FA e 2 DO, 2 SOL e 2 DO. Questa forma base si è poi naturalmente evoluta nel corso del novecento fino a partorire una quantità di variazioni incredibile, prima fra tutte la sostituzione della qualità degli accordi, da stabili (primo grado maggiore o minore) a instabili (dominanti), ecc.
[2] Con il termine “blues”, oltre a definire il genere musicale radice del jazz, si indica uno stato d’animo, come ben si sa, non “triste” ma carico della tipica “nostalgia felice” (termine usato per esempio dal compositore e chitarrista C.Riggio, note di copertina a “Things Left Behind”, Iridescente Ensemble con P.Fresu, Symphonia 1998), che influenza la pronuncia delle frasi, l’intonazione di alcune note (“blues notes”, trasposizione afroamericana della terza e settima neutre arabe) .
[3] Secondo la teoria neomodale in uso in quegli anni e esplosa nel ’59 con “Kind of Blue” di Davis, con lo stesso Coltrane al sax tenore, si tratta del secondo modo della tonalità di Mib maggiore. Ha con terza e settima minori e sesta maggiore. Con il Reb si sposta nel modo eolico di Fa, sesto di Lab maggiore, con terza,sesta e settima minori.
[4] Nella religione ebraica e cristiana il 3 indica intensità, enfasi, perfezione (la Trinità), il 4 esprime la totalità: i 4 angoli della terra, per noi i 4 punti cardinali: il 12, essendo 3 X 4, indica la completezza.
[5] topo, bue, tigre, lepre, drago, serpente, cavallo, pecora, scimmia, uccello, cane, maiale.
[6] Con questo termine, originariamente atto ad indicare la parte corale “B” di una composizione religiosa con strofe “A” solistiche, si indica oggi la struttura usata come canovaccio per l’improvvisazione. Essa è quasi sempre, ma non necessariamente, identica alla struttura del tema esposto come tale all’inizio di un brano, escludendo introduzioni e code, a cui segue la parte improvvisata. Esempio, intro di 4 battute, tema AABA 8+8+8+8, coda di 8, soli: sul chorus AABA.
[7] In un contesto jazzistico, naturalmente, parlando di “soli” ci si riferisce ad assoli improvvisati, che possono essere costruiti sulle strutture più disparate ma più comunemente sul chorus.
[8] “Il Cielo in Una Stanza” di Gino Paoli, infatti, è ad esempio una composizione in cui testo e melodia combaciano perfettamente in una aderenza formale impressionante che vede frasi che descrivono situazioni di intimità (Paoli racconta un incontro con una donna) muoversi melodicamente entro intervalli di terza minore e frasi che descrivono momenti di apertura o di sviluppo in intervalli più ampi, fino all’ottava, in moti melodici ascendenti o discendenti dal forte carattere evocativo. L’intervallo di terza minore è il primo elemento musicale usato dal bambino in molte espressioni vocali prima dell’uso della parola e prima della sonorità pentatonica e largamente in uso nelle musiche di popolazioni non “civilizzate”. E’ quindi espressione di intimità a livello ontogenetico e filogenetico.