di John William Coltrane
(Hamlet, NC, 23 set 1926 – New York, 17 lug 1967)
1.Acknowledgement (7:47)
2.Resolution (7:22)
3.Pursuance/Psalm (17:50)
Recorded Dec 9, 1964
John Coltrane tenor sax
McCoy Tyner piano
Jimmy Garrison bass
Elvin Jones drums
2. Resolution
In questo secondo brano l’oratore dichiara l’intenzione: è un invito non più alla concentrazione ma all’azione e lo spirito che anima il brano e i soli é estremamente energetico, vitale e selvaggio e collegato al movimento precedente da un solo di contrabbasso di sedici misure intorno al Mi b- del finale.
Jimmy Garrison improvvisa con dei bicordi e immediatamente dopo entra il tema: è un medium-up swing in forma AAA 8+8+8 ripetuto due volte, all’inizio, inframezzate da 16 battute di improvvisazione: il centro tonale e Mi b minore; segue il solo di piano e di sax su un open chorus [9] di soli su una dozzina di A da 8: si termina con il tema 1 sola volta AAA.
Improvvisazione Jimmy Garrison
Tema
Frammento di solo piano
Frammento di solo sax
Il contrabbasso ha in quest’opera come in altre di Coltrane un ruolo fondamentale; collega fra loro fasi fondamentali dal diverso mood [10] costringendo ogni volta l’ascoltatore ad azzerare la tensione e ad aguzzare le orecchie, in modo da non decollare con facili entusiasmi hardboppistici [11] ma ricollegandosi periodicamente al territorio interiore in cui Coltrane fa vivere le proprie creazioni.
John ColtraneE’ in questo periodo che lo strumento definitivamente evolve la propria funzione nel jazz, dal ruolo di accompagnatore con l’incarico di definire il percorso armonico e congiungerlo alla pulsazione ritmica ad un ruolo anche solistico dal forte carattere evocativo; la tecnica del fraseggio e del pizzicato viene perfezionata e gli strumenti modificati, abbassando ponticelli, sperimentando mute di corde diverse, dedicando più attenzione all’amplificazione con pick up adatti e scavando nelle possibilità acustiche di ogni parte dello strumento: il free di quel periodo di Coltrane, Albert Ayler (1936 – 1970)Albert Ayler, Archie Sheep e Ornette Coleman (tutti operanti spessissimo in stretto contatto con Coltrane) affida parti fondamentali a ritmiche spesso con due bassi; altri eredi della spiritualità e dell’amore per la relazione tra musica e profondità interiori come Keith Jarrett, Jan Garbarek e più recentemente in Italia Stefano Battaglia ed altri non rinunceranno più a collaborazioni con formazioni che affidano al bassista un ruolo fondamentale. E’ questa attenzione che permette, tra l’altro, lo sviluppo del basso elettrico e il successo di Jaco Pastorius, che portò la tecnica di questo strumento, cugino elettrificato del contrabbasso, al livello che oggi conosciamo (inspiegabilmente ancora trascurato nelle Scuole di Stato [12]) e di altri successivi maestri dello strumento più grave.
Simili percorsi vedono un’ulteriore evoluzione della batteria; lo stile caratterizzato dallo swing incessante e sempre in tensione del ride [13] di Elvin JonesPhilly Joe Jones, evolutosi nella tecnica sempre poliritmica di Elvin Jones, approda qui a una funzione anch’essa non più di accompagnamento ma di colorazione, in cui l’aspetto solistico diviene fondamentale e in cui l’accompagnamento stesso non si svolge più scandendo esclusivamente la figura ritmica principale ma in interplay [14] continuo, fino al suonarne assolutamente fuori di Rashied Ali (vedi LP Interstellar Space, in duo con Coltrane): ogni batterista svilupperà da qui in poi un vero e proprio fraseggio personale, facendo uso di sonorità derivate dalle percussioni di ogni parte del mondo. Da questo periodo in poi sarà assolutamente normale per un batterista allontanarsi dal “set” di base (cassa, rullante, piatti, charleston e 1 o 2 tom) e personalizzarlo al massimo, accostandoci strumenti a percussione delle più svariate provenienze. Jack De Johnette erediterà questo approccio. Tra l’altro, il trio di Keith Jarrett appare quindi come un piccolo contenitore zeppo di tutti i derivati delle rivoluzioni coltraniane. Oggi simili approcci nell’uso dei contrabbasso, del pianoforte, della batteria sembrano scontati: sono invece eredità di elaborazioni coscienti, coraggiose e motivate da contesti sociali e culturali ben precisi e dalla capacità creativa di personaggi come Coltrane.
[9] Con Open Chorus si intende una parte improvvisata che viene eseguita su un numero imprecisato, cioè improvvisato, di chorus. Altre volte il numero viene prestabilito.
[10] Termine che indica uno stato d’animo alla base di un’espressione musicale, non indicazione agogica o d’espressione in senso tradizionale ma relativa all’intenzione.
[11] Con HardBop si intende una elaborazione estremamente virtuosistica, esistente dagli anni ’50, dello stile BeBop, considerato universalmente il linguaggio più interessante e importante del jazz moderno. La complicazione armonica (per cui si arriva a comporre, o a sostituire sopra progressioni armoniche date, successioni di accordi appartenenti a volte fino a 4 tonalità diverse in ogni battuta), la altissima velocità, la difficoltà estrema dell’esposizione di temi costruiti con intervalli scomodi e con frasi densissime di accenti su movimenti deboli ecc., nacque dalla duplice esigenza di differenziarsi da i bianchi che praticavano ormai in gran numero il jazz del periodo swing e bop, ritagliandosi ancora uno spazio in cui esprimere una propria identità musicale e il proprio disagio sociale, e di mettere alla prova la propria abilità in una sfida ad ostacoli spessissimo indirizzata ad una una elevazione spirituale nella pratica musicale. Oggi questo doppio e degnissimo contenuto ha lasciato il campo a motivazioni esibizionistiche e puramente commerciali, poco in contatto con i contenuti del passato.
[12] Non appaia pretenziosa questa affermazione; nel 1918 c’era chi premeva per un urgente inserimento dello studio delle percussioni e del sax nei conservatori, cosa che è accaduta negli anni ’90; dovremo attendere il 2050 perché questo strumento venga elevato a rango di strumento musicale anche dall’accademia?
[13] Il piatto, comunemente a destra del batterista, su cui viene portato lo “swing”, tempo base del linguaggio jazzistico; semiminima, croma puntata e semicroma, ad libitum. “Ride” significa “cavalcare”.
[14] Interplay, termine prettamente jazzistico, significa suonare insieme, cioè interagire continuamente con il membro del gruppo che sta improvvisando o esponendo un tema, sottolineando o contrastando i suoi spunti.