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Cormons, Jazz & Wine Of Peace 2022

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19-23 ottobre 2022

Il festival friulano compie un quarto di secolo. Vanta dunque ormai una storia importante, e quest’anno l’edizione, dedicata a tre componenti dell’Associazione Controtempo che sono scomparsi (Claudio Corrà e Fulvio Coceani, fondatori del Circolo Controtempo, e Paolo Burato, a lungo collaboratore del medesimo), ha offerto un programma di altissima qualità, premiato dalla costante presenza di un pubblico folto e competente, non solo italiano.

Questa edizione si è avviata con una Mingus Night, ricordando il centenario dalla nascita di Charles Mingus con due gruppi di musicisti friulani. Ha aperto la serata il duo composto da Daniele D’Agaro (sassofoni e clarinetti) e Alessandro Turchet (contrabbasso). «Mingus Fingers» è il titolo del disco recentemente inciso dai due presso il prestigioso studio di Stefano Amerio. In concerto ne hanno riproposto le musiche, con un D’Agaro – reduce da una fortunata tournee giapponese – al suo meglio, alternantesi tra tanti diversi strumenti e piccole percussioni, e un Turchet che si rivela sempre più convincente, qui sostenendo il non semplice ruolo del contrabbasso nelle musiche mingusiane. Arrangiamenti estremamente curati, uso dell’archetto, profonda conoscenza delle composizioni, suono pulitissimo, grande varietà timbrica garantita dall’alternarsi degli strumenti a fiato. Subito dopo, il quintetto Viceversa del contrabbassista Giovanni Maier, con tre allievi del Conservatorio di Trieste (batteria, chitarra e trombone) e il collega docente Flavio D’Avanzo alla tromba. Bella amalgama e buona tensione fra la ritmica e i due ottoni, con la chitarra a fare da mediatore, arrangiamenti che lasciavano spazio alle improvvisazioni, medley che univano alcune composizioni, con una versione di Duke Ellington Sound of Love (suonata benissimo anche dal duo precedente) particolarmente curata.

Una fra le tante doti del festival è quella di tenere concerti negli incantevoli spazi che offre il territorio intorno a Cormons. Così la seconda giornata, prima del ritorno in serata al Teatro Comunale, si è mossa fra la Cantina Jermann, il Castello di Spessa e Villa Attems. Ferdinando Romano, miglior nuovo talento italiano 2020 nel referendum indetto dalla rivista Musica Jazz, è tornato con il suo quintetto a proporre le musiche del cd «Totem», concerto che l’anno passato era stato cancellato per la morte improvvisa di Paolo Burato. Il gruppo, oltre al contrabbassista leader, comprendeva Tommaso Iacovello alla tromba e flicorno, Gianluca Zanello alto e soprano, Manuel Magrini pianoforte e Giovanni Paolo Liguori batteria. I cinque propongono un jazz avanzato, contemporaneo, con atmosfere differenziate, ottimo interplay, alto livello qualitativo delle composizioni, con gli studi classici evidenti anche nel modo di utilizzare l’archetto da parte del leader. Un plauso per ciascuno, ma una menzione speciale per il pianista Magrini, del quale credo sentiremo parlare sempre più spesso.

Pericopes + 1: il collaudatissimo duo fra il pianista Alessandro Sgobbio e il sax tenore Emiliano Vernizzi si è aperto al vigoroso drumming del batterista Ruben Bellavia, per un concerto senza pianoforte acustico, sostituito da una tastiera sapientemente utilizzata. La proposta si conferma come una delle più belle e convincenti realtà del jazz italiano, vitale e dinamica, con la sempre magica intesa fra i due, il sax carico di energia e una temperie elettrica che non nuoceva affatto. Brani dall’ultimo disco «Up», tra i quali la bella cover di Sultans of Swing dei Dire Straits, con sfumature di elettronica e un taglio progressive, dove il batterista ha fornito davvero una gran prova.

Amirtha Kidambi è una vocalist statunitense di origini indiane, che accompagna la sua voce con un armonium e un piccolo synth, e a Cormons ha portato il suo “Elder Ones” con Alfredo Colon al soprano, Lester St Louis al contrabbasso e Jason Nazary alla batteria. Si tratta di musicisti che fanno parte dell’area creativa newyorkese (lei stessa collabora ad esempio con i Thumbscrew, il batterista era nel duo Anteloper con la compianta Jamie Branch). Forte impegno politico per la pace, contro la violenza, per le lotte civili di lavoratori, contro il razzismo e il fascismo. La proposta non è priva di una sua originalità, grazie alla vocalità della leader, intrisa di cultura della sua terra d’origine, ed è un lavoro sulla forma canzone, con improvvisazioni vocali su una struttura ritmica acustica ma solida e trascinante, e un uso moderato dell’elettronica.

“MP 85” è il titolo dello splendido disco inciso un paio di anni fa da Michel Portal con i suoi fantastici collaboratori Bojan Z (pianoforte, piano elettrico e synth), cascarNils Wogram (trombone), Bruno Chevillon (contrabbasso) e Lander Gyselinck (batteria). Ogni concerto di questa formazione, creata per celebrare l’ottantacinquesimo compleanno del maestro, che oggi sta per compierne 87, è una occasione di grande musica e splendore esecutivo. Portal ha portato a Cormons il clarinetto basso, il clarinetto e il sax soprano, strumenti che ha suonato senza risparmiarsi con la consueta generosità e donando insieme ai suoi fantastici partner ancora un concerto memorabile, che non ha trascurato una bellissima versione del suo Armenia, in trio con pianoforte e trombone.

Nella perfetta cornice dell’Abbazia di Rosazzo ricolma di pubblico, il collaudatissimo duo Javier Girotto (sax soprano, flauto) e Vince Abbracciante (fisarmonica), in procinto di partire per un lungo tour in Sudamerica, ha riproposto – dedicando il concerto al ricordo di Fulvio Coceani – le belle composizioni dell’ultimo disco «Santuario», insieme a un brano di Luis Bacalov (L’ultima chance, dal film omonimo), riscuotendo meritatissimi applausi, e un’ovazione finale come spesso accade nei concerti di questo duo, che evidentemente riesce a muovere delle corde particolari in tutto l’uditorio.

Reduci da un’incisione discografica per la benemerita We Insist Records («Three Tsuru Origami»), Gabriele Mitelli (tromba, trombino, soprano ricurvo), ha fatto volare il suo solismo free e cherryano sulla energica e creativa carica ritmico-armonica creata da John Edwards (contrabbasso) e Mark Sanders (batteria), alternando momenti travolgenti ad altri meditativi con la tromba sordinata, ospitando nell’ultima improvvisazione Daniele D’agaro sul suo (di Mitelli) soprano ricurvo, fornendo come sempre una prova magistrale.
I Thumbscrew (Tomas Fujiwara, batteria; Michael Formanek, contrabbasso; Mary Halvorson, chitarra), hanno ancora una volta convinto, dopo una grande prova di qualche giorno prima al festival di Skopje. Halvorson ha sempre il suo suono semiacustico chiaro, veloce e pulito, fa un uso parco ma miratissimo di effetti, con risultati personalissimi, mai scontati. Con questa ritmica l’intesa è perfetta, grazie alla presenza fondamentale del contrabbasso e allo stile ricercato e creativo del batterista. Nel programma anche standard, i tre hanno finemente cesellato idee musicali con un suono che ormai ha assunto una propria classicità.

In sostituzione dei previsti Binker & Moses, bloccati da uno sciopero dei voli, Pasquale Mirra e Hamid Drake, al Teatro Comunale, hanno suonato come meglio non si potrebbe, con il loro repertorio che omaggia Don Cherry e Alice Coltrane, in un set che ha davvero lasciato il segno, durante il quale Drake ha avuto per Mirra, come musicista e come essere umano e amico, parole di elogio tali da commuoverlo. I due insieme sono semplicemente perfetti, mai una nota o un ritmo fuori posto, in una reciproca, quasi simbiotica interazione.

Guantanamo è il nome di un gruppo formato dal pianista Fabrizio Puglisi da circa un decennio, che nella Kulturni Dom di Nova Gorica era accompagnato da Pasquale Mirra al vibrafono, Luca Valenza alla marimba, Davide Lanzarini al contrabbasso, Gaetano Alfonsi alla batteria e Danilo Mineo alle percussioni, congas e cajon. Un viaggio nei colori e nei ritmi afrocubani fra brani originali del leader e pregevolissime composizioni appartenenti alla migliore storia del jazz (Ezz-thetics di George Russell e Directions di Joe Zawinul con una bella intro di piano solo, Un poco loco di Bud Powell), con ampi spazi per il vibrafono e le percussioni, per un progetto di grande finezza, coinvolgente e trascinante, e che è solo uno dei tanti diversi aspetti che compongono la variegata e apprezzatissima figura artistica del musicista siciliano.

Ci sono nel jazz delle storie che sono come dei capitoli a parte, talmente peculiari da rappresentare qualcosa di unico. È il caso dei Sex Mob di Steven Bernstein, un quartetto (con il leader alla slide trumpet, Brigan Kraus all’alto, Tony Scherr al contrabbasso e Kenny Wollesen alla batteria) attivo da ben venticinque anni, come rimarcato con autoironia da Bernstein durante il concerto a Villa Attems. E le storie di questo gruppo sono storie di successi meritatissimi, di tanti dischi realizzati, di concerti coinvolgenti, dinamici, divertenti ma ricolmi di alti contenuti musicali, di assolo brucianti, tra brani originali e notissime cover, omaggi a Nino Rota, tutti arrangiati come meglio non si potrebbe. Nel concerto grandi prestazioni da parte di tutti, ma con menzioni particolari per Wollesen, un musicista che spicca in ognuno degli innumerevoli gruppi cui collabora, e per Krauss, protagonista di un assolo bruciante.

Il Teatro comunale di Gradisca d’Isonzo ha ospitato il gruppo Fire! Italian Defeat, che affiancava al leader Mats Gustafsson e ad alcuni componenti storici della formazione dei musicisti italiani, fra cui Fabrizio Puglisi e Sebi Tramontana. I brani presentavano quasi tutti una struttura comune, basandosi su semplici riff sui quali poggia una costruzione collettiva che lasciava spazio a momenti solistici, come per il flauto di Gustafsson nel brano iniziale. Poco valorizzate nell’insieme le doti di Tramontana, che ha trovato spazio solo nel bis per un bel duo con l’altro trombonista Mats Äleklint.

Il duo composto da Bugge Wesseltoft (pianoforte, piano elettrico e synth) e Henrik Schwarz (tastiere, elettronica), attivo da oltre un decennio, al Teatro comunale di Cormons ha suonato un set non particolarmente convincente. Se da un lato emergevano con evidenza le doti pianistiche di Wesseltoft, la sua padronanza della musica classica, del minimalismo, i suoni vintage del synth, l’influenza di Schwarz tendeva a trascinare la musica verso una deriva dance che alla lunga si rivelava troppo insistita e piuttosto vuota. Un’occasione parzialmente mancata, dunque.

Nella Tenuta Villanova, il concerto mattutino di Camilla Battaglia e Rosa Brunello (contrabbasso, basso elettrico e voce) ha centrato l’obiettivo: un lavoro su canzoni debitamente reinventate (Waits, ma anche Zero e Bersani), che presto sarà su disco, nel quale Battaglia è stata particolarmente convincente, con una voce particolarmente adatta, e Brunello ha suonato il contrabbasso con tecnica adamantina, per poi passare a un uso del basso elettrico funzionale al progetto, creando grazie alla pedaliera e all’elettronica dei tappeti sonori di sostegno al canto e alle cangianti variazioni timbriche messe in campo da Battaglia, rivelandosi anche ottima vocalist in un brano.

Il festival offre anche una importante serie parallela di eventi musicali, denominata Jazz & Taste e coordinata da Eduardo Contizanetti. A Borgo Gradis’ciutta chi scrive ha assistito a uno splendido concerto in duo fra il contrabbassista Romano Todesco e Francesco Bearzatti, con brani originali del sassofonista e clarinettista e classici del jazz, in un’atmosfera magica, intima e colloquiale, arricchita da una degustazione di vini di grande qualità.

A Vipolže, in Slovenia, l’atteso trio di James Brandon Lewis, la nuova formazione con un disco in uscita per il prossimo febbraio, con Cristopher Hoffman al violoncello elettrico e Max Jaffe alla batteria. Un trio di rara efficacia, una ritmica validissima – a tratti quasi punk – che ha fatto volare il sax tenore di JB Lewis come meglio non si potrebbe, fra rimembranze rollinsiane e ornettiane, con il suo suono travolgente, senza preamboli, che va diritto al sodo, sino ad arrivare all’urlo del free storico, per poi tornare alla tradizione del pianoless trio, in una sintesi creativa degli stili tenoristici africano americani, con assolo tutti diversi, momenti infarciti di citazioni di standard, altri lirici, per un set semplicemente sublime, da antologia, che resterà negli annali del festival.

Chiusura come di rito nel teatro di Cormons, con un concerto cameristico e raccolto (anche per l’assenza del batterista causata da motivi di salute) del chitarrista Julian Lage e del contrabbassista Jorge Roeder. Lage è uno dei nomi del momento della chitarra: fa parte del New Masada di John Zorn, ha registrato più volte in trio con Bill Frisell e Gyan Riley, e con il suo trio. Grazie anche alla sorprendente tecnica di Roeder, il concerto è stato estremamente gradevole, toccando il vertice nell’esecuzione di Emily, lo standard reso noto da Bill Evans.

In conclusione, un’edizione per i venticinque anni di Jazz & Wine of Peace davvero riuscita, che lo conferma come uno tra i migliori festival jazz italiani per ricchezza e varietà delle proposte.