Cotton Jazz Club (2021)
1. Le cirque des regardes
2. Lazy Days
3. In-Equilibrio
4. The Acrobat
5. Sergej
6. Mindfullness
7. Losing Opinions
8. The Call of Water
9. Nobody Lies, Everybody Teases
Emiliano D’auria – pianoforte, Fender Rhodes, Synth
Luca Aquino – Tromba, flicorno, trombone
Giacomo Ancillotto – chitarra elettrica
Dario Mirando – contrabbasso
Ermanno Baron – batteria
Ci sono dei compositori di jazz in Italia che sembrano volersi nascondere. E che, oltre a essere degli eccellenti creativi, sono anche dei pianisti di pregio. Emiliano D’Auria appartiene, senza ombra di dubbio, a questa sparuta schiera. E’ uno che ha tante novità nella sua faretra; frecce che scaglia con parsimonia e attenzione, ma senza fare troppo rumore. Il suo ultimo lavoro vede anche un’evoluzione del suo combo, che qui diventa un quartetto allargato alla figura di un ospite d’eccezione: Luca Aquino.
D’Auria incornicia nove brani in un complesso di musiche tanto diverse tra loro, quanto accomunate da una buona stella: quella di essere jazz dalla testa ai piedi, senza però mai apparire mutuate al passato imbolsito. “Le cirque des regardes” sembra scritta per un tema felliniano, con la sua marcetta che si distende in un complesso armonico d’ampio respiro. “Lazy Days” è oziosa, tanto quanto lo è il titolo. Ma è bellamente oziosa, con le sonorità che sembrano attinte dai fiordi norvegesi: sospese, oniriche nella tromba di Aquino e nei piatti di Baron che frizzano e divampano. “In-Equilibrio” ci lascia ascoltare tutto il classicismo che alberga nelle sapienti dita di Emiliano D’auria, il suo gusto per il crescendo sonoro che risuona speculare nelle corde della chitarra di Ancilotto, che toccano temi gotici. “The Acrobat” è una summa degli anni Settanta, degli anni Ottanta e di quanto di passionale c’è nel jazz d’oggi, quello europeo: mai muscolare. “Sergej” è in quello spazio tra psichedelia inconscia, armonie vaporose e viaggi onirici su montagne ghiacciate, con piatti, corde di Ancilotto e quelle di bella grana di Miranda, che si sottolineano le tracce melodiche della tromba e le pennellate del piano. Con “Mindfullness” lo spazio sonoro riacquista corpo e misure note, ma D’Auria non rinuncia a spezzare il ritmo, a rifrangere gli aspetti armonici nelle acriliche note del sintetizzatore. ” Losing Opinions” è cinematografica, dialogica: sembra uscita da una colonna sonora degli anni Settanta, con tanto vigore che gli gira intorno e con il lodevole assolo di batteria di Baron. “The Call Of Water” è l’apoteosi della psichedelia, con tonalità sghembe e rivoli sonori che provengono da ogni dove. L’album si chiude con “Nobody Lies”, “Everybody Teases”, che declina tutto il verbo di D’Auria bravo compositore, eclettico.
Un musicista che sa far proprio il patrimonio musicale che ha ricercato con dovizia e con attenzione.