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Intervista a Esbjörn Svensson

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Il trio Esbjörn Svensson nel 2007. Foto: LW-Archiv

trascrizione di Fulvio Ferrari
traduzione di Eva Simontacchi

Incontriamo Esbjörn Svensson nel pomeriggio del 10 maggio 2003 a Matera, prima del soundcheck. Aiutiamo il trio a portare un piccolo ampli dall’albero al vicino Auditorium e strada facendo cominciamo a chiacchierare col pianista svedese. Trasmette subito molta cordialità e dice di essere affascinato da questo posto ricco di tanta storia molto legata alla civiltà del luogo da più di un millennio. Poi, seduti nel backstage dell’Auditorium, mentre Magnus Öström e Dan Berglund cominciano a montare e provare gli strumenti, registriamo questa intervista.
Si desidera ringraziare per la collaborazione fornita da Sabine Renzler della Hopper- Managment e da Gigi Esposito, patron di Gezziamoci.

M.L.: Come avete iniziato a suonare assieme come trio?
E.S.: Abbiamo iniziato abbastanza presto. Magnus ed io ci conoscevamo da bambini, avevamo 2 o 3 anni, e giocavamo assieme, poi crescendo abbiamo anche iniziato a suonare assieme. Cercavamo di fare musica assieme, dunque è praticamente da tutta la vita che suoniamo. E poi, nell’83, non sono sicuro della data, mi sono recato a Stoccolma.
Suonavo con vari gruppi e lui con delle hot bands. E attorno al ’90 abbiamo ripreso a suonare assieme, suonavamo in duo e improvvisavamo. Non facevamo spettacoli, ma ci divertivamo assieme. E poi abbiamo iniziato a scoprire più cose, ed è stato grande! Abbiamo pensato: qui sta succedendo qualcosa, forse dovremmo trovare un bassista. Dunque abbiamo provato un paio di bassisti, e in effetti abbiamo dato vita al Trio con un bassista diverso. Lui si è unito a noi, diciamo dal ’91 al ’93. Poi però ci siamo resi conto che non era esattamente ciò che cercavamo. In un’altra band suonavo assieme a Dan, e dunque dissi a Magnus: “Ho trovato il bassista che fa perfettamente al caso nostro. Lo proviamo?” “Si, certo!” E così fu. Dunque suonammo assieme, facemmo una prova, e una esibizione, e decidemmo che era proprio lui la persona giusta per noi. Dal ’93 iniziammo a suonare assieme nel Trio, nella formazione odierna. E attualmente siamo al decimo anno d’anniversario per gli EST.

M.L.: Nel 1996 avete inciso un album dedicato al grande Monk – una grossa responsabilità…. Anzi, è stato il vostro primo album a distribuzione internazionale. Quali sono i motivi per cui avete scelto Monk?
E.S.:
Prima del disco dedicato a Monk, nel
’93 abbiamo inciso “When Everyone Has Gone“, e si trattava di materiale originale. Dopo “When Everyone Has Gone” abbiamo inciso un cd live, “Mr and Mrs Handkerchief” che ora viene prodotto dalla ACT di Monaco e viene distribuito sotto il titolo di “EST Live ’95“, e anche in questo album suoniamo brani originali. Poi nel ’95 o nel ’96 abbiamo firmato un altro contratto con una casa discografica svedese, la Diesel, e l’album di Monk sarebbe stata la prima nostra incisione su loro etichetta. Loro ci hanno detto “Non vogliamo che per questo disco voi suoniate i vostri brani originali. Vorremmo trovare un concetto specifico, qualcosa che la gente possa facilmente recepire, qualcosa di un po’ più commerciale“… Dunque ci suggerirono di suonare la musica di Ellington o di Gershwin, musica di questo genere, ma noi abbiamo pensato: No! Un momento… Noi abbiamo sempre suonato Monk, abbiamo sempre amato in modo particolare la sua musica, anche prima di incidere i nostri dischi, e quando abbiamo proposto alla casa discografica un album di musica di Monk, loro hanno accettato. Dunque abbiamo fatto una grossa ricerca, abbiamo scelto tra centinaia di suoi brani quelli che potessero fare al caso nostro, e il risultato è quello che potete sentire.

M.L.: La musica l’avete improvvisata o avete preparato degli arrangiamenti particolari?
E.S.:
E’ stata preparata bene, si potrebbe dire. Avevamo degli arrangiamenti, perché non volevamo suonare esattamente come era già stato fatto in passato. Voglio dire che a volte, non sempre, una delle cose che può rendere il jazz un po’ noioso è quando qualcuno suona dei brani ripetendoli esattamente come erano già stati suonati in passato. Per esempio, molta gente pensa che se suoni Monk, devi suonare come Monk, perché si tratta di Monk, ma noi non la pensiamo affatto così. Voglio dire, noi abbiamo pensato “aspetta un attimo, non dobbiamo per forza suonare così“. Ovviamente amiamo il modo in cui Monk interpreta e suona la propria musica, ma questo l’ha già fatto lui, perché ripetere? Dunque abbiamo ascoltato la sua musica, abbiamo ascoltato le melodie ed i ritmi, poi l’abbiamo reinterpretata alla maniera degli EST, e penso che questo ci sia valso qualche critica del tipo: “Non sembra musica di Monk” o “Non ha il suo sound“. Certo! Ma a noi cosa importa? Voglio dire, è la musica di Thelonious Monk. Lui la suonava in modo totalmente diverso.

M.L.: Era il vostro obbiettivo…
E.S.: Certo! Esattamente! Era proprio il nostro obbiettivo, e ci abbiamo lavorato sopra parecchio. Per esempio, ho portato avanti degli arrangiamenti su “‘Round Midnight“. Pensavamo di usare strumenti a corda, e ho pensato: bene! Possiamo usare degli strumenti a corda, ma non lo farei mai in “‘Round Midnight“, poi invece ho cominciato a lavorare su tutti questi brani con gli arrangiamenti, e ho così iniziato a scrivere anche l’arrangiamento per “‘Round Midnight” usando gli archi. E’ molto bello, lo suoniamo ancora molto spesso, non con gli strumenti a corda, ma con quell’arrangiamento, perché è un po’ diverso, e perché è un brano fantastico.

M.L.: Secondo te la tradizione è importante per il jazz?
E.S.:
Certo! Lo penso! La tradizione è come una radice per la musica, ma allo stesso tempo è una questione di ciò che desideri fare. Se vuoi essere un musicista, un musicista jazz per intenderci, devi avere una sorta di controllo su ciò che è accaduto prima, e dunque se sei, per esempio, un sassofonista, vorrai certamente sapere cosa hanno fatto Parker, Coltrane oppure Shorter. Devi ascoltarli, ovviamente, e poi forse dopo potrai trovare la tua voce personale. Ma non penso sia necessario, penso che si possa anche improvvisare. Voglio dire, l’improvvisazione penso che sia il modo in cui la musica è sempre nata. Puoi tornare molto indietro nella storia, e scoprire che qualcuno ha preso in mano uno strumento che produceva un suono, e quella è improvvisazione. E poi forse, successivamente, qualcuno ha iniziato a scrivere musica e a comporre musica che altre persone avrebbero suonato. Io penso che l’improvvisazione sia un modo naturale di suonare uno strumento, e non l’improvvisare in sé. Per improvvisare non è indispensabile suonare il jazz. Lo puoi fare con qualsiasi tipo di musica. Non hai bisogno per forza di ascoltare della musica specifica se non ne hai voglia o se non ti serve. Dipende da varie cose. Se tu suoni il jazz senza conoscerne la storia, probabilmente non avrai un suono jazz, e magari sei anche contento, ma se hai dei colleghi musicisti jazz come te, allora quando verrete ascoltati i giornalisti inizieranno a scrivere “Non avete swing“… Ecco! Esattamente. Dipende da ciò che si desidera fare. C’è un sacco di musica fantastica nella storia del jazz, e questa è una cosa assodata, ed è divertente ascoltarla e vedere cosa succede. Ma per suonare, non è necessario. E poi un sacco di gente conosce tutto sulla storia del jazz, e poi non sanno comunque suonare bene, dunque, è molto difficile rispondere. Per quanto riguarda me personalmente, a me la storia del jazz è sempre interessata molto. Ho ascoltato molta musica jazz, e forse non utilizzo spunti ora come ora perché suono la musica degli EST, e cose diverse, ma sono abbastanza ben informato a livello teorico e pratico sul jazz.

M.L.: Puoi dirci quali musicisti jazz ti piacciono particolarmente?
E.S.: Bè, ce ne sono parecchi. Ovviamente io sono un “freak” al pianoforte…

M.L.: dinne solo tre…
E.S.: Solo tre! Pianisti? Ok…. Non è facile! Prima di tutto mi vengono in mente due pianisti diversi: Teddy Wilson e Art Tatum. Teddy Wilson…. Ecco, diciamo Teddy Wilson ha uno swing fenomenale! Ed è un fantastico pianista! Il groove… è fantastico. Adoro anche Brad Mehldau, un altro pianista che quando l’ho ascoltato per la prima volta è stato come se mi si fossero spalancate davanti delle porte nuove. E poi, sai, le note…. Lui è molto più “junkie” di me. Ci siamo incontrati un paio di volte e abbiamo parlato, e anche lui aveva ascoltato la nostra musica, è stato molto gentile. A volte ci incontriamo ai vari Festival. Ed è molto difficile non menzionare Keith Jarrett, anche perché lui è….Oh! Che si può dire di lui? Ha fatto tutto! All’inizio suonava la musica jazz, ma poi ha cominciato a farne sempre più, e quello che faceva quando suonava con Art Blakey era veramente speciale. Poi ha iniziato a suonare con il suo trio, le prime cose negli anni ’60 e ’70. Fantastico! Ed è un pianista stupefacente, un musicista eccezionale…. E ci sarebbe molto di più da dire di lui…

M.L.: Ascoltando la vostra musica, non capita spesso di riscontrare la struttura tipica AABA. All’inizio c’è una piccola idea musicale che viene ciclicamente sviluppata per ottenere, nel finale, una composizione che include il contributo di ogni membro del gruppo EST. Ci parli della forma dei vostri brani?
E.S.:
Non saprei esattamente. Voglio dire, se parli della forma, penso che sia una cosa sulla quale c’è bisogno di lavorare nel jazz in generale, perché la forma è spesso sempre la stessa. E’ talmente sempre uguale …. Qualcuno suona la melodia, poi ognuno suona il solo, poi ancora la melodia, poi il primo pezzo, poi il secondo, poi ancora la stessa cosa, e dunque alla fine è sempre la stessa cosa anche se è AABA o qualsiasi altra forma possa avere. Ci sono varie forme, ma quella forma è talmente prevedibile che a volte potresti annoiarti, perché sai esattamente che cosa accadrà più avanti, anche se i musicisti stanno suonando molto bene. Dunque penso che questo sia un punto nel jazz sul quale si debba lavorare molto, penso che noi abbiamo preso in prestito delle idee da cose che abbiamo ascoltato
, ma non so da dove le abbiamo prese. Ma più forme dalla musica pop e classica, ovviamente. A volte penso che siamo un po’ “minimalisti”. Usiamo piccole cose che muoviamo un poco e cambiamo un poco…. E cerchiamo di stare lontani da quelle forme prevedibili in cui sai esattamente ciò che accadrà. E a volte, non sono sicuro se posso fornire un esempio di ciò che abbiamo fatto… Ecco c’è un nuovo album che esce a settembre, e in quest’album c’è un brano che inizia con piano e basso che suonano la melodia, e poi a un certo punto entra la batteria, ma noi non smettiamo, continuiamo a farlo… ma poi arriviamo allo stesso punto e lì ci fermiamo, e di colpo ritorna un sacco di suono, poi continuiamo ancora un po’ fino al momento successivo in cui ci fermiamo. Prima suoniamo quella parte e ci ripassiamo, ma dopo lo stop iniziamo a costruire qualcosa realmente. Dunque è un mondo totalmente a parte, e quando quello è fatto ci sono gli ultimi tre chorus, e il brano termina, invece che rifare quella cosa e reiniziare da capo con la melodia. Questo è un modo per spiegarlo, ma è il modo in cui tento di pensare. Intendo dire che tento di pensare in maniera non comune per trovare altri modi per fare musica. Iniziare con un solo, per esempio, o altre soluzioni piuttosto che suonare la melodia, poi i soli, e poi la melodia, perché così è tutto talmente ovvio. A volte saltiamo i soli, a volte quasi saltiamo la melodia.

M.L.: Siete influenzati dalla cultura musicale del vostro paese?
E.S.:
No, non molto perché la musica nel nostro paese è, per quanto mi riguarda, abbastanza noiosa. C’è della musica folk che ho sempre odiato, perché l’ho sentita e risentita molte volte, ed è spesso suonata male, e dunque la trovavo estremamente noiosa. A me non piaceva per niente. Però circa quattro anni fa Siegfried Loch della ACT Records ha chiesto a me e a Nils Landgren se avremmo inciso un album in duo suonando vecchi brani folkloristici svedesi. E abbiamo pensato….Oh! Aspetta un attimo! Poi per qualche insondabile motivo abbiamo accettato, e ci siamo presentati allo studio dopo avere effettuato delle ricerche. Abbiamo ricevuto dell’aiuto da un fantastico musicista e compositore, Bengt-Arne Wallin, che aveva lavorato molto nella musica folkloristica svedese negli anni ’60 e ’70, e che ci lavora tuttora, dunque… c’era molta musica e noi l’abbiamo ascoltata e abbiamo preparato i nostri arrangiamenti. E poi mi sono reso conto che caspita! C’erano veramente delle fantastiche melodie, della musica veramente bella. Come mai non l’avevo mai sentita prima? Non lo sapevo, voglio dire, in Svezia forse non ci siamo molto preoccupati di portare avanti il discorso della musica tradizionale, perché sta a noi, a noi musicisti prenderci cura della musica folk. Ci sono degli ottimi musicisti che la eseguono veramente bene. E quando sono loro che la eseguono, ti rendi conto che è un patrimonio importante. Ma quando l’esecuzione è di impostazione turistica, allora ti viene voglia di dire: “portatemi via!“. Da questo punto di vista mi sento più ispirato ora, ma in generale non penso di essere stato ispirato dalla musica folkloristica svedese. Credo di essere maggiormente influenzato dalla musica pop, dalla musica classica, dalla musica classica europea in generale e, ovviamente dal jazz.

M.L.: Secondo te, qual è l’ultimo pianista jazz che ha dato un contributo all’evoluzione della musica jazz? E più in generale, pensi che il piano jazz si sia evoluto o pensi che si sia fermato a un certo periodo?
E.S.:
Penso che sia ancora molto vivo… E’ quello che intendevo…. Dunque capisco quello che intendi e che pensi, io penso che il piano jazz si stia ancora evolvendo. Perché c’è Brad Mehldau, per esempio, ma ho anche ascoltato fantastici pianisti italiani come … e ovviamente c’è Pieranunzi che è fantastico, ma sto pensando ad un pianista italiano…è’ un pianista italiano con i capelli lunghi….

M.L.: Stefano Bollani….
E.S.: Si! Stefano Bollani, grande pianista, mi piace molto. Ho un suo disco e lo ascolto. Dunque, c’è un sacco di carne al fuoco, e ci sono molti musicisti jazz che sviluppano le loro idee, e stanno trovando nuove strade. Dunque penso che il piano jazz si stia ancora evolvendo.

M.L.: Che musica ascolti?
E.S.:
Ascolto molta musica classica, Bach, Bartok…ascolto molta radio. Giro i canali e vedo cosa trovo. Ma ascolto il canale che passa molta musica classica. In questo momento, parlo degli ultimi due anni, quando ascolto musica, sono maggiormente interessato alla composizione. I musicisti classici hanno sviluppato la loro musica in molti modi diversi. Ed è molto interessante ascoltare questa musica, notare come si sviluppa e magari trovare il tuo modo per esprimerla…

M.L.: le vere radici della musica europea risiedono nella musica classica…
E.S.: Si! Lo penso anch’io. Io la ascolto, forse anche perché sono cresciuto ascoltando mia madre che suonava musica classica al pianoforte. E suonava molta musica romantica, F. Liszt, F. Chopin, dunque ho molta musica romantica nel mio profondo. Ma io ho due figli, dunque quando sono a casa è difficile decidere, voglio dire, sono loro che decidono cosa suoneremo. Loro ascoltano molto John Williams, la musica di Star Wars, ET, Jurassic Park. Dunque, è abbastanza bello che ascoltino questa musica, che rientra nel genere della musica classica, e la adorano! Ma ascoltano molte altre cose! Mio figlio, che ha 5 anni suona la batteria, e lui fa cose….. come i Deep Purple…. È fantastico!

M.L.: Parlaci di qualcuno a cui senti di dovere qualcosa, qualcuno che è stato importante per la tua carriera, per la tua vita….
E.S.:
Molte persone, molte. Siegfried Loch è uno di loro… Siegfried conduce la ACT, con base a Monaco. Quando l’ho incontrato mi sono reso conto che quest’uomo avrebbe potuto aiutarmi in Europa…. Specificamente in Europa, perché prima eravamo totalmente sconosciuti nel resto dell’Europa, a parte in Svezia. Dunque lui ha fatto una cosa fantastica per la mia carriera, per la nostra carriera. E poi Burkhard Hopper, il nostro manager, che ci ha dato un grande aiuto. Queste persone sono estremamente importanti per me ora. Prima di questi io avevo, o noi avevamo lo stesso tipo di concetto in Svezia. Un uomo di nome L. Nielson che lavorava nel management in Svezia, e la casa discografica DIESEL in Svezia, parlo di due anni fa, anch’essi sono stati importanti nella nostra carriera. E poi ci sono molte altre persone che lavorando assieme stanno facendo molto per noi.

M.L.: Se tu fossi Ministro della Musica, nomina tre cose che faresti per il jazz….
E.S.:
Oh, è così difficile da dire… A volte sento persino di non essere veramente coinvolto quanto lo sia il vero musicista jazz, perché noi siamo… tutto è fantastico com’è ora, perché abbiamo l’opportunità di suonare dovunque, guadagnamo bene e….. abbiamo molto supporto e veramente…. Non sono sicuro. So talmente poco di come funziona. Questa è una domanda importante e difficile che ha bisogno di almeno una settimana per essere pensata come si deve! Mettiamo il caso che io fossi Ministro della Musica in Svezia…. O se tu fossi Ministro della Musica, allora dovresti essere là fuori, sulle scene, in continuazione…. Dovresti recarti ai concerti o alle esibizioni artistiche, dovresti essere là, essere con gli artisti, parlare con loro, berti una birra con loro, e nel frattempo parlare con loro per sapere come la pensano, per sondare le cose che avresti bisogno di cambiare. Il tuo lavoro non dovrebbe essere quello di star seduto da un’altra parte e rispondere alle domande che ti fanno sulla musica. Dovresti vivere gomito a gomito con gli artisti e i musicisti con cui dovresti lavorare. E queste sono le cose che farei per prima cosa se dovessi diventare Ministro della Musica. Cercare di essere presente il più possibile…. E poi dopo avere incontrato tutti quei musicisti jazz, cercherei di trarre le mie conclusioni su come agire al meglio nel mio lavoro…. Io farei questo, ascolterei e andrei a vedere.

M.L.: Al momento sei considerato come uno tra i musicisti più interessanti sulla scena europea dei musicisti della nuova generazione. Ti piace questo?
E.S.:
Non ci penso …. a volte ho letto cose del genere, ma cerco di stare più lontano possibile da queste informazioni perché non ne ho bisogno. Voglio dire, alcuni pensano che sia una cosa tanto fantastica, e io non posso dire nulla. Tutto ciò che posso fare è continuare a fare quello che sto facendo senza pensare troppo a quello che viene detto, altrimenti potrei rischiare di dimenticarmi cosa sto facendo, o potrei cadere in un eccesso di orgoglio o diventare presuntuoso, o… non so. Penso anche che la scena jazzistica in generale abbia bisogno di cose come quelle che stiamo proponendo noi, perché vedo che ciò che stiamo facendo è qualcosa di un po’ diverso da ciò che normalmente accade sulla scena jazz. Il nostro percorso è diverso. Ma questo è il nostro modo naturale di suonare, e ora che questo modo ha avuto successo, bé, è fantastico, ma si tratta anche di “duro lavoro” portato avanti per dieci anni con le persone che ho nominato prima…. Non è nulla di strano… anzi, noi sappiamo quello che stiamo facendo, e desideriamo continuare a farlo.

M.L.: Se tu potessi dire: “Ho un sogno”, quale sarebbe?
E.S.:
Questo è il mio sogno! Ciò che sta succedendo in questo momento. Il mio sogno sta diventando realtà…. Ciò che vorrei cambiare è che in questo momento forse siamo sempre troppo in tour… Se fosse possibile vorrei farlo un po’ meno, in modo da passare un po’ più di tempo con la mia famiglia, perché questa è la cosa veramente dura in questo momento. Voglio dire, è divertente e molto bello suonare e viaggiare in tutti questi posti, ma è anche molto difficile essere lontani da casa e dalla famiglia allo stesso tempo. E spero che possa succedere, di suonare forse un attimino di meno continuando a fare ciò che stiamo facendo, e mantenendo dei rapporti vivi con la famiglia in Svezia. Questo è il mio sogno, al momento. Ma per il resto, questo è il mio vero sogno, questo è ciò che desidero, e non cambierei nulla. Suoniamo la nostra musica e lo facciamo per un sacco di gente, che altro potresti sognare, voglio dire, ci guadagnamo da vivere facendo ciò che amiamo, è fantastico!

M.L.: All’inizio hai detto che avete preparato un nuovo album, ne vuoi parlare?
E.S.: Usciremo con un nuovo album a settembre, e ovviamente andremo ancora in tour, dopo di ché penso che sia molto difficile parlare del sound della nostra musica. Ma ovviamente, abbiamo cercato di trovare il sound degli EST e penso che ci siamo riusciti. Ma, non è detto che al pubblico debba per forza piacere, non si sa mai, non si può mai essere certi di qualcosa! A noi piace. Pensiamo che sia interessante, alcune cose nuove che abbiamo provato, parecchi brani nuovi, ovviamente, nello stesso spirito dei precedenti, senza tentare di ricopiarci troppo dal passato… E anche questo è difficile. Mettiamo che tutti si mettano a dire “Oh, abbiamo bisogno di un tocco di… From Gagarin’s Point of View” oppure qualcos’altro… Non funziona così. Non puoi produrre musica in questo modo. Io penso che sia importante che tutto avvenga naturalmente, dall’alto o dall’interno o da dovunque ti arrivi l’ispirazione. Se avviene in modo naturale, diventa il brano stesso, non una copia di un altro brano. Ovviamente si può ottenere probabilmente ispirazione da pezzi già fatti … nel nuovo album si possono riconoscere delle cose che abbiamo già toccato in passato, ovviamente. Ma è importante che i brani siano loro stessi e non una copia.

M.L.: Penso che essere un artista significhi osare. Quando un artista esce con un nuovo album, secondo me, quell’artista deve innovare, mettere qualcosa di nuovo nella sua musica. Dunque, se non siete sicuri se il pubblico apprezzerà o meno il vostro nuovo album significa probabilmente che avete realmente creato qualcosa di nuovo. IMHO, è questo uno dei ruoli dell’artista.
E.S.:
Esattamente! E’ vero, perché prima che iniziassi con il Trio, stavo cercando di comporre musica pop, e cercavo di comporre musiche che pensavo potessero piacere al pubblico. Pensavo:”Se farò così questo brano diventerà un successo, mentre se farò cosà non funzionerà“…. Non lo facevo per me stesso, secondo i miei gusti personali. Lo facevo in modo più pilotato, ovviamente cose che mi piacevano, e poi controllavo se alla gente sarebbe piaciuto, ma così non ha funzionato. Dunque, ci ho lavorato molto! Poi ho smesso, e ho iniziato a comporre per il Trio, e componevo esattamente ciò che mi piaceva ascoltare. E non mi ponevo il problema di cosa ne avrebbe pensato la gente. E improvvisamente abbiamo realizzato, con il primo album “
When Everyone has Gone” che idea fosse. Facevamo semplicemente la musica che ci piaceva. E di colpo abbiamo iniziato ad avere ottime recensioni, e la gente veniva ai concerti e apprezzavano la nostra musica. Dicevano “E’ grande musica!” Caspita! Cosa succede? Voglio dire, non me l’aspettavo proprio! E dunque è in effetti la cosa che stiamo facendo ora, e ovviamente ora è più facile. Supponiamo che il prossimo album possa essere un grande flop, e tutti inizino a dire che è orrendo! Bé, almeno a noi piace, e questo è meglio che creare un album “su misura” dell’ascoltatore per poi sentirsi comunque dire che non è bello. Perché in quel caso non piacerebbe nemmeno a noi! No, io direi, bisogna continuare a fare ciò che ci appassiona e che ci piace, forse al pubblico piacerà, forse no, non si può mai essere certi di nulla.