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Intervista a Luca Dell’Anna e Stefano Amerio

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In occasione della pubblicazione dell’album “Tactile“, abbiamo incontrato, per una intervista doppia, il pianista Luca Dell’Anna e il produttore Stefano Amerio.

Luca, Tactile esplora una percezione fisica della musica. Puoi raccontarci come sei arrivato a questa idea e quale impatto ha avuto sulla tua composizione?

Per usare le parole di David Lynch, Le idee sono come i pesci. I pesci piccoli stanno in superficie. Quando vai più in profondità diventano sempre più grandi. Ho avuto modo di sperimentare che quando un’idea musicale merita di essere tenuta e sviluppata, quando ha un “peso”, viene percepita dal corpo in modo fisico, più intenso e più netto del semplice pensiero o del semplice ascolto. Da qui l’idea del titolo. Nel processo di scrittura del materiale ho cercato di far entrare la mia coscienza in quello che ho chiamato “lo stato “Tattile” per essere in grado di percepire questo peso e scegliere fra le idee. Da qui il titolo del disco.

Stefano, come produttore, quali sfide hai incontrato nel tradurre in suono l’idea di una musica “tattile”?

Nel tradurre l’idea di una musica “tattile” in suono, la sfida principale come produttore è stata quella di catturare e fissare su supporto una sensazione che, per sua natura, è fluida e diretta, che si percepisce più attraverso il corpo che attraverso l’ascolto razionale. La musica “tattile” di Luca è caratterizzata da dinamicità, vivacità e movimento, un suono che sembra avvolgere l’ascoltatore, quasi fisicamente. Questo tipo di musica non è solo da ascoltare, ma da sentire, e ogni sfumatura ha un peso emotivo che va oltre la semplice riproduzione sonora.
La risposta, alla fine, è stata semplice. È bastato premere “rec” e lasciarsi coinvolgere dal flusso musicale. Il lavoro del produttore, in questo caso, è stato quasi quello di sospendere ogni giudizio razionale e di abbandonarsi alla naturalezza della performance di Luca e dei sui compagni. La musica si è fatta strada da sola, ed è stato più importante assecondare il suo movimento che cercare di forzarlo in una forma troppo predefinita. In fondo, la musica “tattile” di Luca si esprime proprio in questo: nella capacità di evocare sensazioni primordiali e immediate. E il mio ruolo è stato quello di ascoltarle, accoglierle e farle emergere nel miglior modo possibile.

Luca, il disco include influenze di meditazione Vipassana e yoga. In che modo queste pratiche hanno plasmato il processo creativo?

La meditazione per me è una sorta di ginnastica della coscienza, che ti permette di entrare in uno stato più ricettivo e profondo dove vedi la realtà in più dimensioni, a una maggiore definizione. Entrare in questo stato mi ha aiutato a scegliere le idee che ritenevo migliori e a seguirne il flusso, per poi uscirne tenendomi sotto braccio l’idea e confezionandola per farla sentire, come se la portassi come regalo da un viaggio.

Stefano, hai dovuto adattare il tuo approccio di produzione per rispettare queste influenze spirituali?

Il mio approccio di produzione è sempre stato guidato principalmente dall’istinto e dall’emozione del momento, quindi non è stato necessario adattare troppo la mia metodologia per rispettare le influenze spirituali che emergono nel progetto di Luca. Quando lavoro, mi lascio trasportare dalla musica e dal flusso creativo, cercando di ascoltare e comprendere il messaggio che ogni traccia vuole comunicare.
Nel caso di Luca, le influenze spirituali sono state presenti ma non imposte. La musica stessa, con la sua dinamicità e il suo movimento, portava già con sé una forte carica emotiva e spirituale. Non c’era bisogno di forzare nulla o di fare un lavoro intellettuale per “adattare” la produzione: il suono è venuto naturale, seguendo le linee che erano già determinati dalla composizione e dall’interpretazione dei musicisti.
Quando i musicisti sono coinvolti, la loro interpretazione personale porta con sé un elemento unico, una specie di rispetto per l’intenzione originaria della musica. In questo caso, quindi, il mio compito da produttore è stato più che altro quello di ascoltare e seguire quelle linee energetiche ed emotive che già esistevano nei brani. È stato un processo di sintonia in cui la parte spirituale ed emotiva delle composizioni si è naturalmente tradotta in suono, senza che fosse necessario fare alcuna modifica forzata.

Tactile contiene omaggi a Peter Gabriel, Monteverdi e Frantz Casseus. Luca, come hai scelto di bilanciare le tue composizioni con questi riferimenti?

Tutte e tre hanno una loro potenza interna che è andata oltre il semplice ascolto quotidiano e mi ha colpito nel profondo, in momenti in cui magari stavo pensando o facendo altro. Come se la loro carica comunicativa fosse in grado di bucare il flusso di distrazione costante a cui io sono particolarmente incline. Poi molti altri motivi: il testo di Merci Bon Dieu è una preghiera di ringraziamento, semplice ma potente racchiusa in una melodia altrettanto evocativa, il brano di Peter Gabriel è un haiku, di una bellezza disarmante nella sua semplicità. La melodia di Monteverdi racconta già tutta la storia in poche note.

 Stefano, come hai lavorato per mantenere un equilibrio tra originalità e omaggi durante la produzione?

Un aspetto importante del mio lavoro è stare attento a non cadere nella trappola dell’imitazione. È facile, quando si è colpiti da un’opera o un artista, cercare di riprodurre quel tipo di magia, ma la chiave per mantenere l’originalità è rimanere fedeli a se stessi.
Non voglio che un riferimento diventi la cosa principale del brano, ma piuttosto una sorta di omaggio nascosto, una traccia che l’ascoltatore può scoprire, se lo desidera, ma che non sovrasta la composizione al fine di trovare un equilibrio e una simbiosi musicale che possa adattarsi e inglobarsi assieme ai brani originali.
Ho lavorato sempre con lo stesso approccio fatto di sensibilità ed emozione.
Alla fine il mio lavoro si basa soprattutto su queste due cose.
In definitiva, la chiave sta nel saper combinare influenze e riferimenti in modo che non oscurino la tua identità, ma piuttosto la arricchiscano. Così facendo, non solo si mantiene l’originalità, ma si crea anche un’opera che può parlare a un pubblico più vasto, invitandolo a scoprire quei piccoli omaggi nascosti che si intrecciano con la struttura e il senso del brano stesso.

Luca, qual è il brano di Tactile che meglio rappresenta il tuo percorso musicale fino ad oggi, e perché?

Se devo sceglierne uno ti direi Is It Morning Yet? che contiene tanti aspetti della mia musica che mi sono cari da sempre, come un equilibrio fra libertà improvvisativa e struttura compositiva, ma su una struttura armonica e melodica più asciutta e minimalista. In questi anni ho fatto un lavoro di sottrazione per cercare di rendere la musica più essenziale e più descrittiva, per cercare di raccontare una storia con semplicità anziché sovraccaricare l’orecchio. Il tutto però sempre suonato da me e dai miei compagni “in punta di coltello” come piace a me, con un piglio fra il lirico e il nervoso che contraddistingue il suono di questo trio.

Dal punto di vista tecnico, Stefano, quale traccia ti ha richiesto un’attenzione particolare e perché?

Dal punto di vista tecnico, tutti i brani hanno richiesto un’attenzione perché ho dovuto gestire la complessità ritmica tra batteria, pianoforte e basso elettrico. Questo tipo di intreccio ritmico e armonico è sempre una sfida, soprattutto quando si cerca di mantenere ogni strumento distintamente riconoscibile ma al contempo integrato nell’insieme.
Il problema principale era far convivere la ritmicità della batteria con gli elementi percussivi del pianoforte, creando una dinamica in cui entrambi potessero sostenersi senza entrare in conflitto. Allo stesso tempo, il basso elettrico, che di solito gioca un ruolo fondamentale nel fornire la spina dorsale ritmica e armonica, si intrecciava con le frasi del pianoforte. L’alchimia ritmica tra questi elementi è stata cruciale, poiché dovevo evitare che i vari strumenti si sovrapponessero o si perdesse la coesione complessiva del brano.
A livello di missaggio, ho dovuto lavorare su più livelli al fine di ottenere il giusto equilibrio.
Ho dedicato molta attenzione alla separazione e al posizionamento spaziale degli strumenti nel mix. Questo mi ha permesso di dare a ciascuno il proprio spazio senza che si confondessero troppo. Il pianoforte, che ha una parte ritmica e melodica importante, doveva essere trattato con un’attenzione particolare per non sovrastare il basso o la batteria, ma allo stesso tempo non perdere la sua energia.

Luca, il tuo trio con Alessandro Fedrigo e Luca Colussi sembra centrale per Tactile. Cosa rende questa collaborazione così speciale?

L’incontro con Luca e Alessandro è stato del tutto casuale ed ha mostrato in modo spontaneo le sue potenzialità, da subito. Ci è voluto veramente poco per capire che avevamo già un suono ben definito e soprattutto un identico approccio, scarno, energico e con un’idea netta della direzione della musica. Più suoniamo insieme più sviluppiamo un interplay attento, sottile, anche una certa ironia interna, una voglia di conversare e “battibeccare” suonando che a quanto pare, a quanto ci dice chi ci ascolta, si sente chiaramente, e questo è un aspetto importante.

Stefano, cosa hai notato di unico nella dinamica di questo trio durante le sessioni di registrazione?

Quello che ho notato di unico nella dinamica di questo trio durante le sessioni di registrazione è stata la profonda sintonia e la naturale fluidità con cui ciascuno dei membri interagiva, sia dal punto di vista musicale che umano. C’era una rete di supporto reciproco che sembrava quasi invisibile ma che rendeva tutto più facile e organico. Ogni membro del trio aveva il suo spazio e la sua individualità, ma allo stesso tempo c’era un senso di unità creativa che permeava ogni momento in studio.
Quello che ho notato come produttore è stato un rapporto di profonda connessione e collaborazione. Le sessioni di registrazione sono state rapide e fluide, ma anche molto concentrate e condivise. La musica, fin dal principio, era chiara a tutti e questa chiarezza ha fatto sì che il nostro lavoro in studio fosse davvero in sintonia. È stato un processo di scoperta collettiva, dove ogni membro del trio ha portato la propria energia e sensibilità, ma sempre al servizio di un progetto comune che era già ben definito nella sua essenza.

Il tour in Giappone è una parte importante del lancio di Tactile. Luca, come pensi che il pubblico giapponese recepirà questo progetto?

Siamo stati in tour la prima metà di Novembre. Abbiamo suonato a Osaka, Hiroshima, Kobe, Iwakuni, con il mio vecchio amico Ryoma Mano, giovane e incredibile sassofonista, come ospite. Per me è la terza volta in Giappone e sapevo di poter trovare un’attenzione e un rispetto da parte del pubblico non comuni e così è stato. La nostra musica è fatta di tante piccole cose, momenti e frammenti giustapposti su una struttura cristallina e a volte intricata che, lo ammetto, richiede all’ascoltatore un certo impegno per essere goduta appieno ma sa essere anche un bel giocattolo, divertente. Il rispetto giapponese per le cose “ben fatte”, anche un po’ sfidanti ma divertenti nella loro complessità ha incontrato, credo, perfettamente il gusto del pubblico. Alcuni hanno letteralmente preso appunti su un foglio di carta e sono venuti a presentarci e a discutere la loro relazione a fine concerto. Si può chiedere di più da un pubblico?

Stefano, quali aspetti della produzione pensi possano avere un impatto particolare sul pubblico internazionale?

La produzione di Tactile è caratterizzata da una serie di scelte che si prestano particolarmente a un pubblico internazionale. L’immediatezza emotiva, la fusione di generi, la sensibilità ritmica, l’approccio tattile al suono e la naturalezza delle registrazioni sono tutti aspetti che possono attrarre e coinvolgere ascoltatori di culture e background diversi. Il progetto è costruito su una coerenza e sincerità artistica che va oltre i confini e che può risuonare a livello universale, parlando a chiunque sia sensibile alla bellezza e all’energia della musica.

La traccia “The Horseman and the Tree” è un omaggio personale. Quanto è stato importante per te, Luca, inserire elementi autobiografici nell’album?

Sono passati sei anni dal mio disco precedente e nel frattempo sono successe molte cose, alcune molto belle come la nascita di due figlie, altre che mi hanno messo alla prova, come la pandemia. Mio padre se n’è andato due anni fa e tutto il periodo intorno a questo evento mi ha messo di fronte a un prima a un dopo, ad uno spartiacque forse senza eguali, insieme fondamentale e normalissimo, purtroppo inevitabile nella vita di ciascuno. Ho ritenuto meritasse di essere omaggiato con un brano ragionato, riflessivo e rispettoso.

Stefano, in che modo hai aiutato Luca a comunicare questa profondità personale attraverso il suono?

Aiutare Luca a comunicare la sua profondità personale attraverso il suono è stato un processo di emersione: la sua musica aveva già in sé una forza emotiva e un contenuto profondo, e il mio ruolo è stato quello di facilitare questo processo, mettendo in luce la sua autenticità e il suo messaggio. Il mio approccio è stato sempre quello di ascoltare, osservare e rispettare la sua visione, affinché la musica potesse parlare da sola, senza filtri inutili, ma con tutta la sua potenza emotiva e sincerità.

Stefano, Luca, come descrivereste il vostro rapporto creativo? Quali sono state le sinergie più preziose e le differenze più stimolanti nel lavorare a Tactile?

Luca: in Stefano, così come in Luca e Alessandro, ho trovato una concretezza creativa, un’immediatezza fra il pensare e il fare che passa per poche parole ed un capirsi al volo quando qualcosa funziona, un atteggiamento asciutto e costruttivo quando invece qualcosa si può migliorare. In particolare con Stefano ci si sente sicuri che la sua percezione e la sua esperienza vanno oltre le proprie piccole fissazioni, autocritiche o vanità personali. Se lui ti dice che una take è buona, puoi stare certo che è buona. La registrazione del disco è stata rapida e produttiva, “ad alti giri”, con poche seconde take ed un’urgenza di dare forma a una cosa che era già chiara a tutti dall’inizio. Riascoltando il disco penso di poter dire che questa atmosfera e questa concentrazione si percepiscano chiaramente.

Stefano: Il nostro rapporto creativo è stato caratterizzato da una sinergia immediata e da una comunicazione fluida che ha permesso di concentrarsi su ciò che contava veramente: l’emozione e l’energia della musica. In effetti, come Luca descrive, il nostro lavoro insieme è stato contraddistinto da una sorta di “intesa immediata”, dove le parole erano spesso superflue. Ci capivamo al volo, riuscendo a risolvere problemi o perfezionare aspetti senza la necessità di lunghi dibattiti. Questo tipo di comprensione immediata, combinato con una concretezza e un’efficienza creativa, ha fatto sì che la registrazione di Tactile fosse rapida, produttiva e senza fronzoli.
Una delle sinergie più preziose, e che Luca ha colto perfettamente, è stata quella di mantenere una visione chiara e decisa, senza esitazioni o indecisioni. Ogni passo che facevamo, dalla scelta dei suoni alla registrazione delle take, era sostenuto da un’idea precisa e un’intensità condivisa. Questo approccio ha fatto sì che la registrazione fosse ad alta energia, in cui il risultato finale veniva subito percepito come valido, senza dover passare attraverso infinite revisioni.
In sintesi, il nostro lavoro su Tactile è stato una fusione perfetta di intuito, esperienza e fiducia. Le sinergie che abbiamo creato hanno permesso di rendere l’intero processo fluido e produttivo, mentre le nostre differenze sono state una risorsa che ha arricchito la creatività complessiva. Ogni momento passato insieme in studio ha contribuito a quella atmosfera di concentrazione e urgenza che Luca menziona, un’energia che si percepisce chiaramente nell’ascolto del disco.