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Intervista a Pat Metheny

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In occasione della quinta edizione del Multiculturita Festival, incontriamo Pat Methenhy che, insieme al pianista Brad Mehldau ed ai fidati Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria, rappresenta il concerto clou di un prestigioso e ricco programma.

Come è avvenuto l’incontro con Mehldau?

Ognuno di noi due già conosceva l’altro e cosa faceva. Brad l’ho notato sin dai suoi esordi. Poi abbiamo sscoperto che praticamente uno comunque era in qualche modo influenzato dall’altro. Finchè ci siamo finalmente incontrati ed abbiamo deciso di registrare insieme e lo abbiamo fatto molto velocemente, in una settimana, poi abbiamo organizzato il tour.

Nessuna regola specifica, nessun ruolo precostituito?

La musica che abbiamo suonato è stata composta appositamente ed è un tipo di musica piena di moltissimi dettagli. Le composizioni sono state scritte anche pensando probabilmente a come le avremmo interpretate, senza darci un peso eccessivo ma credo che fosse nelle nostre menti. C’è la parte d’improvvisazione nella quale ovviamente si è liberi ma credo che entrambi già avevamo un’idea in mente di come avremmo potuto integrarci anche se non ce lo siamo detto. E in questo senso credo che sia stato un qualcosa senza alcun ruolo e senza alcuna regola predefiniti ma ascoltando l’album, a posteriori, si identificano senza dubbio sia ruoli che regole…E’ stato comunque un approccio molto serio nel senso che abbiamo voluto fortemente creare qualcosa che potesse andare al di là di un semplice incontro…

Chiunque al mondo, dopo un paio di note, è capace di riconoscerti, come si fa a creare un proprio suono?

Questo è sempre stato un obiettivo per me e penso sia un obiettivo per un certo tipo di musicisti jazz. Non mi sono mai seduto dinanzi alla strumentazione con l’obiettivo di trovare un suono perchè dovevo trovarne uno, ma ho cercato un suono che mi identificasse, che rappresentasse al meglio le idee che avevo in mente, che mi aiutasse nell’eseguirle proprio come avrei voluto…I risultati arrivano quando cominci a trovare un modo per esprimere veramente te stesso attraverso lo strumento, sviluppi un tuo dialetto, e più in generale ti riconosci nella musica che fai…

“Smoke at the half note” di Wes Montgomery, “Undercurrent” di Jim Hall con Bill Evans, “Question and Answer” di Pat Metheny. Tre pietre miliari della storia della chitarra jazz…

Oh…questo è un enorme complimento, affiancato a questi due album di assoluto valore…ti ringrazio di cuore ma non sono in grado di confermare o meno questa cosa…però l’apprezzo tantissimo, grazie… 🙂

Ogni tuo progetto è sempre sotto i riflettori di tutto il mondo. Qual è la prossima tua idea, cosa stai per fare?

Il prossimo progetto immediato è una registrazione in trio con Chris McBride e Antonio Sanchez con i quali ho suonato molto anche in Italia negli ultimi due anni ma con i quali non ho mai inciso un disco. Lo abbiamo registrato e uscirà a in autunno, a gennaio-febbraio partirà il tour. Sono molto felice di aver potuto registrare con loro. E inoltre c’è un altro progetto che sarà una reunion con Gary Burton in cui ci saranno anche Steve Swallow al basso e Antonio Sanchez alla batteria.

Pensi di esplorare qualche altro duo di chitarre come hai fatto in passato insieme a Scofield, Frisell, Jim Hall…?

Penso che farò qualcosa con Bill Frisell. Abbiamo fatto poche cose insieme ma abbiamo una forte connessione artistica e penso proprio che dovremmo registrare un nuovo disco…

Col PMG, suoni sempre How Insensitive, una cover, probabilmente l’unica con quella formazione. C’è un motivo?

Sì col gruppo la suoniamo molto spesso e da molto tempo. Jobim ha un qualcosa di speciale per me. Le sue composizioni sono tutte tra le mie favorite e How Insensitive lo è in modo particolare…