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Intervista con Francesca Tandoi

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Francesca Tandoi, pianista romana, ha appena pubblicato il suo ultimo album, “Bop Web“, per Nuccia records, insieme a Matheus Nicolaiewsky al contrabbasso, Sander Smeets alla batteria e Daniele Cordisco alla chitarra.

Francesca, potresti raccontarci qualcosa sul tuo percorso musicale e su come hai iniziato la tua carriera nel jazz?

E’ iniziata molto presto da adolescente a Roma. Studiavo in una scuola di musica ed ho conosciuto alcuni musicisti per cui ho formato il mio primissimo trio già all’età di 17 anni. Poi, il seguito è stato molto spontaneo, sono stata coinvolta in vari progetti pertanto è come se dovesse andare così, senza forzature. Poi dopo la scuola sono partita e sono andata all’Aja per studiare al Royalty Conservatory of The Hague segnando così l’inizio della mia carriera internazionale poiché ho cominciato ad incontrare musicisti provenienti da ogni parte del mondo. Successivamente sono stata inclusa in progetti un po’ più grandi dagli insegnanti stessi del conservatorio e anche lì, è stato un susseguirsi di concerti e “avventure” che non si è mai fermato.

Quali artisti o esperienze hanno avuto l’influenza maggiore sul tuo stile pianistico e vocale nel jazz?

Ho ascoltato sempre molta musica e alcune figure che mi hanno influenzata sono Keith Jarrett, Bill Evans, Chick Corea. Poi ho effettuato una full immersion nei pianisti del bebop, dello swing, chiaramente Bud Powell, Red Garland, Phineas Newborn, Wynton Kelly, Oscar Peterson, Gene Harris, ce ne sono tanti. Le influenze sono quindi tante, ma una cosa che credo mi abbia influenzata molto è l’esperienza in Olanda con musicisti provenienti da Paesi diversi, con i quali ho suonato anche musiche tradizionali dei Paesi. Per esempio, ho suonato molto tempo con una cantante israeliana, con una coreana, collaboro ancora oggi on un contrabbassista brasiliano. Penso che la collaborazione con tutti questi musicisti internazionali mi abbia formata molto.

Hai avuto l’opportunità di suonare con alcuni dei migliori musicisti jazz del mondo. C’è stata una collaborazione in particolare che ti ha segnato o insegnato qualcosa di unico?

Tutte le mie collaborazioni mi hanno insegnato qualcosa, dal meno famoso al più famoso, dal più grande al più giovane, perché una collaborazione ti insegna tanto, sulla musica e su te stesso. Bisogna essere in grado di adattarsi in vari contesti.

Hai partecipato a numerosi festival jazz internazionali. C’è un’esperienza live che ricordi con particolare affetto o che consideri un punto di svolta nella tua carriera?

C’è stato un musicista in particolare che ha segnato un punto di svolta nella mia carriera. Era un insegnante del Conservatorio in cui studiavo, ed è stato il batterista del mio primo trio olandese. Si chiama Fritz Landesbergen il quale mi ha coinvolto in contesti un po’ più importanti dandomi così l’opportunità di registrare i miei primi dischi. Ed è quindi grazie a lui che ho capito che potevo cominciare a svolgere il mio lavoro in modo più serio, credendoci.

‘Wind Dance’ è stato riconosciuto come uno dei migliori album jazz del 2017. Potresti condividere qualche retroscena sulla creazione di questo album e su cosa lo rende speciale per te?

Questo è un album registrato oramai quasi 10 anni fa, nel 2015. Uscito poi nel 2016, prodotto da una casa discografica giapponese. Poi ne è seguito un tour in Giappone dove ho fatto varie interviste. Un po’ tutti i brani furono particolarmente apprezzati: c’era un arrangiamento di un brano di Debussy, “Clair de Lune”,  e poi la title track, per il resto erano degli standard che ho usato anche per rivisitare alcuni arrangiamenti oggetto della mia tesi che si chiamava “The art of arranging for Piano trio”. Penso sia questa creatività negli arrangiamenti che abbia maggiormente colpito il pubblico giapponese.

 “Bop web” è il tuo nuovo album, qual è il fil rouge che hai voluto utilizzare in questo album? Ci parli di come è nato e cosa vuol trasmettere?

E’ il mio ultimo album registrato insieme a Matheus Nicolaiewsky, contrabbassista brasiliano, e Sander Smeets, batterista olandese. E’ un trio nato durante il mio periodo di frequentazione al Conservatorio con dei colleghi studenti. Sono felice che questa collaborazione vada ancora avanti, dopo più di otto anni. L’album è stato registrato durante un tour, un day off. Siamo andati in studio senza sapere se ne sarebbe nato un album. Vi erano dei brani originali miei più due arrangiamenti, sempre scritti da me. La title track, “Bop Web”, è un tributo a Dizzy Gillespie, perché è un’armonia alternativa del brano “Bebop”, di Dizzy. Solo riascoltando la sequenza dei brani, dopo molto tempo, ho notato che i brani sono una sorta di tributo a figure che hanno influenzato il mio percorso musicale. Per esempio, oltre “Bop Web”, possiamo considerare “Ninaom” che è ispirata a Bobby Timmons, “Agua de Beber”, chiaramente al grande Jobim, “Overjoyed” al grande Stevie Wonder. Si può quindi evincere il desiderio di ringraziare queste figure che sono state davvero molto importanti.

E dei musicisti che ti accompagnano?

Come detto, essendo musicisti internazionali, è bello notare come ognuno abbia portato la propria cultura musicale e personale creando un sound davvero unico.

Come ritieni che la tua musica sia evoluta nel corso degli anni, dai tuoi esordi con ‘For Elvira’ fino alle più recenti collaborazioni?

A me piace sempre di più suonare i miei brani originali perché penso sia il modo per esprimermi al meglio. “For Elvira”, ad esempio, è stato il mio primissimo disco ma non è che avessi un vero e proprio “concept” alla base, ho suonato ciò che mi piaceva suonare, e questo probabilmente si percepisce.

Hai già realizzato vari album come leader del tuo trio e collaborato in vari progetti. Quali sono i tuoi piani o sogni per il futuro, sia in termini di nuove registrazioni che di concerti o collaborazioni?

Per circa 10 anni sono stata leader di vari trio. Adesso ho in mente un nuovo progetto composto da un trio più un quartetto d’archi in cui suonerò solo brani originali, non collegati a swing, bebop o a tutto ciò che ho suonato finora. E’ una raccolta di brani inediti, qualcuno l’ho già registrato, ma in trio. E’ un progetto nuovo che spero faccia emergere una parte di me piuttosto diversa.

Considerando la tua esperienza e il tuo successo nel mondo del jazz, ti dedichi anche all’insegnamento o alla mentorship per giovani musicisti? Se sì, quali consigli ritieni più importanti da trasmettere alle nuove generazioni di jazzisti?

Sì, sono un insegnante del Conservatorio da 5 anni. Attualmente insegno al Conservatorio Martini di Bologna. Amo molto insegnare. Ciò che posso dire è “studiare” ma anche ”suonare insieme”, creare delle situazioni di aggregazione. Secondo la mia esperienza personale è l’aspetto più utile, acquisire il cosiddetto mestiere. Inoltre suggerisco sempre di cercare di avere le idee molto chiare su che tipo di artista si desidera essere, ciò che si sente di comunicare. Perché un conto è studiare, un conto è saper suonare bene, ma un altro conto è riuscire ad esprimersi come artista distinguendosi e trovando una collocazione all’interno del mondo artistico.