Dopo quasi 30 anni all’estero, sei tornato a vivere stabilmente in Italia. Come hai vissuto questo ritorno e quali riflessioni hai sulle tue esperienze passate in diverse città e paesi?
Sì, di base; per ora sì. Continuo a viaggiare per brevi periodi quando serve. Il “ritorno” in Italia purtroppo non è stato idilliaco. La nostra nazione non inverte la rotta. Musicalmente è andata a peggiorare eccetto pochissime situazioni oneste ed interessanti.
Riflessioni ricorrenti sono i miei ricordi e le fantastiche memorie vissute “sul campo”.. Mi danno sempre forza ed orgoglio per andare avanti.
Come hai iniziato la tua carriera musicale e quali sono state le tue principali fonti di ispirazione nel campo della musica latina e del jazz?
Vengo da una famiglia estranea al campo dello spettacolo. Nei primi anni 80 appena teen-ager ho studiato al Conservatorio, ho seguito l’iter classico-sinfonica ma da subito mi sono appassionato alla musica nera (Jazz, Afro-Pop, Funk e Latin). Già da allora avevo dischi che mi hanno influenzato molto: Armstrong, Yma Sumac, Perez Prado, Dizzy Gillespie, Hugh Masekela, Miles Davis, Earth Wind & Fire e Maynard Ferguson.
Hai suonato in festival e rassegne internazionali in vari paesi. Quali sono state le tue esperienze più significative all’estero e come hanno influenzato la tua musica?
Lavorare come side-man all’estero è bello e soddisfacente. Nei primissimi anni ’90 appena arrivato in California ho davvero imparato il mestiere, la disciplina, il sacrificio e lo studio vero che servono a suonare. Per esempio a San Francisco con una band di Latin Rock suonando a volumi incredibili un repertorio tratto da Santana, Malo, Tierra e War; oppure Las Vegas ogni sera (7 giorni su 7) un repertorio di R&B, Soul e Funk con una sezione di 3 fiati, tutto a memoria! Oppure suonando ogni fine settimana con cantanti e repertorio a prima vista per 3 ore di Salsa.
I festival e le rassegne internazionali sono una prosecuzione naturale del lavoro musicale che si svolge tutto l’anno. Mi hanno sicuramente forgiato e formato professionalmente. La mia musica originale, da banale che era i primi anni, è migliorata in tutti i sensi.
Puoi raccontarci di uno dei tuoi progetti musicali preferiti e del processo creativo dietro di esso? Inoltre, come hai reagito alla vincita della Medal Bronze ai Global Music Awards nel 2018?
Il mio “progetto musicale” è stato il “BraziLatAfro” un concetto nato nel 1995 a Las Vegas. All’epoca suonando dal vivo stabilmente mi sono potuto permettere il “lusso” di pensare e realizzare qualcosa di diverso. Avevo voglia di suonare musica originale (mia) mescolando Afro Jazz, musica latina e brasiliana. Tre generi alquanto separati ed usualmente destinati ad un pubblico diverso. Da allora ho prodotto un totale di 8 album registrati, quasi 100 brani composti e suonati dal vivo dagli Stati Uniti al Giappone, Latino America ed Europa.
Siamo addirittura stati in copertina della rivista americana “Jazz Player” con cd allegato! (Giugno 1999).
Il riconoscimento dei “Global Music Awards” è stato un altro “miracolo”. Infatti al contrario degli Awards della Academy o tanti altri monopolizzati dalle “Major” e produttori “mangiatutto”, questi organizzatori dei Global sono aperti, non a pagamento, dove ognuno manda il proprio lavoro; fine della storia. Loro decidono i vincitori delle varie categorie. Il mio Brazilatafro Latin Big Band è stato un lavoro folle che mi è costato più di due anni per arrangiare, registrare e raccogliere un frutto alla fine davvero unico. Ho vinto una medaglia di bronzo quale compositore ed arrangiatore per big band. Mi rende ancora molto orgoglioso.
Hai esperienza nell’insegnamento della tromba e hai condotto numerosi workshop in diverse parti del mondo. Quali sono gli aspetti più gratificanti dell’insegnare e cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
L’insegnamento a mio parere è un altro aspetto… a “doppio taglio”. Insegnare soltanto senza molto contatto con il suonare vero non è logico.
Essere docenti accademici e suonare solo quando c’è davvero il grande evento è un altro sistema che non condivido. Io ho fatto quello che sentivo più congeniale e giusto eticamente: lavorare a 360 gradi nel campo della musica reale e professionale per poi insegnare e trasmettere la sostanza, il cuore degli argomenti, senza “annacquare” il discorso in anni di frequenze e ruotine noiose ed improduttive.
Alla fine, certo, non ho mai avuto molti studenti, ma sicuro ho cambiato la vita e risolto “drammi” a qualche strumentista in Brasile, Messico, USA, Romania, Italia, Danimarca, Giappone, ecc… Oltre ad aver fatto centinaia di Workshop negli anni ho prestato servizio stabile al Compton Conservatory of Music (Los Angeles), C.A.M. (Centro de Artes Musicales) di Tijuana in Messico, al Conservatorio Musicale di Arad (Romania) fino ai Conservatori di L’Aquila e Pescara in Italia.
La tua carriera abbraccia una vasta gamma di stili musicali, tra cui smooth jazz, afro-cubano, brasiliano e big band. Come gestisci la diversità di stili e quali sfide hai affrontato nel farlo?
Sicuro ho alternato periodi con full immersion negli stili menzionati in ambienti geografici che richiedevano ciò, ma sicuramente ho seguito un mio “codice” interiore. Non sono mai riuscito a lavorare in situazioni banali o troppo commerciali. Una sfida che mi ha segnato è stata quella del suonare per un paio di anni in un gruppo di tutti afro-americani (Sweet Louie & the “Checkmates”). Uno stress psico-fisico unico e costruttivo che cito sempre nei miei Workshops. Si, la tromba nelle Americhe è come il “prezzemolo” la richiedono dappertutto e quindi ho alternato “gig” di Gospel in chiese con cori, salsa e latin jazz, Rock, Blues, Big Band, Jazz, Samba nei “Carnaval da Rua” di San Paolo in Brasile, fino anche alla Sinfonica di Bellflower. Dovendo vivere di sola musica è così. Non penso sia un grosso problema, è più’ che altro un fatto mentale: porsi al servizio dello stile musicale richiesto con concentrazione e studio ad hoc.
Hai collaborato con molti artisti di spicco. Quali sono alcune delle collaborazioni più memorabili e cosa hai imparato da queste esperienze?
Sinceramente, alcuni grandi nomi sono stati fantastici band-leader (Santana, Claudio Roditi, Bob Mintzer, Rique Pantoja, Tito Puente jr, Don Menza, Gregg Allman, Luis Alberto “El Canario”, John Lee Hooker, Bobby Shew). Momenti memorabili.., forse il concerto con Santana ed altre leggende del Latin Rock al Greek Theatre in Hollywood nel 1993: mi sono trovato a firmare autografi per più di tre ore dopo il concerto!
17 libri e 21 CD. Hai un catalogo di pubblicazioni musicali davvero cospicuo. Puoi condividere un po’ sul processo creativo dietro di esse e su come hai mantenuto tale prolificità nel corso degli anni?
A 57 anni, posso dire di essere stato un guerriero, senza sosta, mai ricevuto nulla in regalo “dall’alto” ho lottato ogni singolo giorno per avere una chiamata di lavoro, incarico, tour o registrazione. Il miracolo lo devo al signor William Bay (presidente della storica editoria musicale americana Mel Bay) che un giorno del 1993 mi telefonò in seguito ad un demo di brani originali che gli avevo mandato e mi disse: perchè non scrivi un libro musicale sulla musica latina per trombettisti ed includiamo i brani audio nel volume? Io, in preda al panico, all’epoca con un inglese scarsissimo dissi… ok; da quel punto ci vollero quasi tre anni di correzioni, bozze, tracce registrate, rifatte e cambiate, insomma da quel primo contratto in poi ho acquisito sicuramente credibilità e auto-stima. Da quel primo libro tutto il resto è stato più semplice;
Ora che sei stabilmente in Italia, quali sono i tuoi prossimi progetti musicali e cosa ti aspetti di realizzare in questa nuova fase della tua carriera?
Sinceramente sono “a disposizione”, ancora in attesa di alcune graduatorie per l’eventuale insegnamento di Tromba Jazz nei Conservatori. Continuo ad incidere lavori a distanza nel mio studio di produzione-registrazione in Abruzzo. Il “Brazilatafro” o altre situazioni sono sempre “in caldo”; ho iniziato la produzione di un nuovo cd e spero di rientrare nel giro della musica dal vivo quanto prima.