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Milo Jazz Superior Festival 2021

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Anfiteatro Lucio Dalla, 5-8 agosto 2021

Ancora una iniziativa di Catania Jazz nella accogliente e fresca cornice dei paesi etnei, stavolta nella piccola e accogliente Milo. Quattro serate diverse e interessanti, dedicate a musiche di vari generi, non esclusivamente al jazz.
Ad aprire il festival il collaudatissimo duo “Musica Nuda”, con la voce di Petra Magoni e il contrabbasso di Ferruccio Spinetti. Oltre diciotto anni di attività, undici album pubblicati, l’inossidabile formazione deve il suo innegabile successo a molti fattori: le evidenti competenze tecniche di entrambi (funambolica la voce, agile, espressionista, incantatoria; perfetto il contrabbasso nel costruire appositamente per ogni brano un arrangiamento ad hoc che rende lo spettacolo vario e fruibile da chiunque); la gestione del palco, con da un lato la solida e ferma – quasi timida? – presenza di Spinetti e dall’altro la verve di Magoni, che usa al meglio la sua eccelsa presenza scenica con movenze affascinanti, cariche di contagiosa energia, con una colloquiale interazione col pubblico; le intelligenti scelte di repertorio, che nella serata milese sono consistite in ballads (Speak Low), canzoni notissime (Eleanor Rigby, Ain’t No Sunshine), composizioni originali di Spinetti, la divertentissima e ironica Feltrinelli di Francesco Cusumano, incisa in un album del duo del 2017 con il contributo del compianto Fausto Mesolella alla chitarra, eseguita con il coro di tutto il pubblico; un doveroso omaggio a Dalla con Caruso; un arrangiamento blues del Tuca Tuca; la conclusione affidata alla pucciniana Nessun dorma e a What’s Going On, e spazio per alcuni richiestissimi bis, tra cui Roxanne.

La seconda serata era tutta all’insegna del funk. Per primo il collettivo catanese Magma Funk, nato circa tre anni addietro, composto per l’occasione da sei elementi (ritmica e tre fiati). Guidato dal chitarrista Carmelo Venuto, il sestetto ha fornito un esempio di robusto funk, tutto all’insegna di godibili brani originali, con grande spazio per lo strumento del leader. A seguire, la Afro Funk Arkestra, un nonetto composto da musicisti della Sicilia occidentale (Marsala, Valderice, Favignana, Partinico, Santa Margherita Belice, Palermo). Guidato dal vibrafonista Salvo Casano, che suona anche una tastiera, la voce e il live electronics, il gruppo ha proposto essenzialmente un afrobeat di qualità, spaziando da Mulatu Astatke agli Osibisa a Ebo Taylor, senza trascurare composizioni originali. Ottimi equilibri, bel lavoro percussivo con in primo piano il preciso, dinamico e centratissimo drumming di Giuseppe Santoro, musicista che si sta rapidamente affermando e il cui nome sentiremo sempre più spesso. Grazie anche agli interventi del leader, si è ascoltato un progetto musicale di qualità, che merita fortuna e successo, a cui andrebbe garantita ampia possibilità di calcare le scene. Da citare la bella versione della hendrixiana Power of Soul, tutta per la notevole chitarra di Dario Salerno.

La terza serata del festival è stata dedicata a Franco Battiato. Non si poteva immaginare un omaggio migliore dell’idea di portare, nel luogo dove Battiato viveva, Süleyman Erguner con il suo Mevlana Ensemble Whirling Dervishes. Così, grazie all’opportuno intervento del consolato italiano a Istanbul, essenziale in questa fase complicata per i viaggi, Erguner ha potuto rendere omaggio al suo vecchio amico, con il quale si incontrò la prima volta negli anni Ottanta del secolo scorso. Il rito mistico legato al sufismo si è svolto secondo la consuetudine, con cinque dervisci che hanno ammaliato il folto pubblico intervenuto (la serata era sold out) con la loro rotazione preceduta da intensi momenti di concentrazione e preghiera. Il quartetto di musicisti era costituito oltre che dal leader (ney e voce), dal kanun (cetra) di Mehmet Bahadir Sener, dalla voce di Adem Tay e dal percussionista Rifat Varoi al bendir e al kudüm. Oltre alla suggestione delle voci, un ruolo fondamentale era affidato al suono nasale del flauto ney e alle corde del kanun, con funzioni ritmico-armoniche. Le rotazioni dei dervisci si sono articolate in diversi momenti intervallati da fasi statiche, ma senza interruzioni del flusso musicale. Al termine della cerimonia, cui il pubblico ha assistito come richiesto in silenzio e senza applaudire, Erguner è tornato sul palco con Sener e Varoi per eseguire un brano di Battiato, Venezia-Istanbul in una versione acustica di grande fascino, ovviamente diversa dall’originale, colma di nostalgia e affetto. Si è trattato forse del più vero e sentito omaggio a Battiato dopo la sua scomparsa, perché ha rievocato la sua grande passione per il mondo sufi, testimoniata anche dai tanti quadri che egli dipinse sul tema e dalla sua nota amicizia con Erguner.

L’ultima serata del festival etneo ha presentato due concerti entrambi dedicati al mondo delle colonne sonore cinematografiche: una esibizione per solo pianoforte dell’artista austriaco David Helbock dedicata alle musiche di John Williams e a seguire il quartetto di Stefano Di Battista per un omaggio a Morricone.

Williams è uno dei più prolifici compositori di colonne sonore per il cinema viventi, notissimo per aver collaborato con Spielberg, Lucas, Columbus, vincitore di ben cinque premi Oscar. Nel 2019 l’etichetta tedesca per cui incide, la Act, ha pubblicato un album per solo pianoforte dedicato a Williams dal pianista austriaco (classe 1984) David Helbock, intitolato «David Helbock playing John Williams», volume XIV della interessante collana “Piano Works”. Nell’occasione milese, Helbock ha sfoggiato sullo Steinway una tecnica prodigiosa, come era lecito aspettarsi da un artista che già da tempo si è affermato in tutta Europa con quattro dischi da leader. Dunque ha proposto brani da Indiana Jones, Salvate il soldato Ryan, Prova a prendermi, Sette anni in Tibet, E.T., Harry Potter, una splendida Schindler’s List, Guerre Stellari, Munich. In sostanza Helbock ha dimostrato di aver totalmente assimilato con attenzione e studio il repertorio prescelto, e ha confermato le sue doti, l’assoluta padronanza dello strumento che utilizza anche spesso suonandone direttamente le corde sporgendosi all’interno, sempre in funzione tonale.

Stefano Di Battista ha pubblicato, la scorsa primavera, il disco «Morricone Stories», su etichetta Warner, con una formazione in parte francese, ma con lo stesso contrabbassista della serata milese, Daniele Sorrentino. A Milo lo accompagnavano anche Andrea Rea al pianoforte e Luigi Del Prete alla batteria. Interessanti le scelte di repertorio, che nella prima parte del godibile concerto vertevano su composizioni non notissime tratte dal vastissimo repertorio morriconiano (Che cosa avete fatto a Solange?, Peur sur la ville, La cosa buffa, Veruschka), per poi transitare verso i conosciuti C’era una volta in America, Metti una sera a cena, un estratto dall’Apertura della caccia dal film Novecento, Il buono, il brutto, il cattivo, Mission. Il quartetto viaggiava sicuro e swingante, con una ritmica ineccepibile, fornendo al leader al soprano e all’alto una base decisamente affidabile. Di Battista è ottimo interprete delle composizioni di Ennio Morricone, da solista di indiscussa qualità, ma è particolarmente titolato anche perché, come ha raccontato in un gustoso aneddoto, ha conosciuto personalmente il Maestro, che nell’occasione compose istantaneamente un brano per lui, Flora, una bellissima linea melodica che il quartetto ha eseguito con particolare cura. Dopo il bis, il gruppo ha ospitato il pianista siciliano Santi Scarcella, che ha reso omaggio a Lucio Dalla eseguendo al piano e alla voce Caruso.