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Skopje Jazz Festival 2024: quarantatré anni e non li dimostra…

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Piace pensare che il direttore artistico del Festival macedone, Oliver Belopeta, abbia scelto di iniziare l’edizione del 2024 con un gesto poetico, un dono per il numeroso pubblico che lo segue con costanza e passione sin dall’inizio, vale a dire, ben quarantatré anni fa. Perché un dono è stato il concerto di Cecile McLorin Salvant, con Sullivan Fortner al pianoforte, Yasushi Nakamura al contrabbasso e Kyle Poole alla batteria. Il cognome della cantante possiede già nella nostra lingua un senso salvifico, e tale è la sua musica, portatrice di gioia e serenità. Notevole estensione vocale, timing che ricorda Betty Carter, grande capacità di tenere il palcoscenico con teatrale padronanza, swing contagioso, scelte di repertorio mai banali che spaziano da brani pochissimo battuti tratti da diversi musical sino a Diane Reeves, Cole Porter, Sting, Kate Bush. Il tutto nelle gesta di un trio formidabile che, pur nel rispetto della tradizione, si è mostrato costantemente fresco e innovativo, per un lungo concerto di alto livello artistico, con il cameo di un duo vocale in cui il pianista ha duettato con la leader.

Emozionante ascoltare, in seno al quartetto The Bridge, l’ottantaseienne Alexander von Schlippenbach, alfiere del free tedesco, con il suo ben noto pianismo per nulla scalfito dagli anni che passano, a supportare al meglio i partner, dall’assertivo tenore di Rodrigo Amado dal suono di avvincente bellezza, al martellante contrabbasso di Ingebrigt Håker Flaten, ai creativi tamburi di Gerry Hemingway, in un lungo set senza interruzioni, una sorta di lectio magistralis sul free jazz molto gradita dal pubblico che ha anche chiesto e ottenuto un breve bis.

Una delle diverse manifestazioni dell’inventiva di Mats Gustavsson, The End, è arrivata a Skopje con un repertorio totalmente nuovo, profondamente diverso dal precedente ascoltato un paio di mesi addietro a Saalfelden: una musica meditativa, densa di spiritualità, con toni a tratti religiosi, estremamente convincente e apprezzata, mentre solo nel brano finale e nel bis si è recuperata la tensione apocalittica dei vecchi brani del gruppo. Tutti i musicisti in gran spolvero, dal leader bruciante come sempre al baritono e ai flauti, dal tenore, dal polistrumentista Anders Hana, alla Jernberg forte e lucida nei suoi fulgidi sperimentalismi e delicata nella spoken word, essenziale nel progetto The End.

La sua Santiago de Cuba deve essergli rimasta nel cuore. David Virelles, nativo santiaguero, uno dei migliori giovani pianisti di oggi, ferratissimo nel jazz contemporaneo, nel suo concerto per piano solo nel quale ha eseguito magnificamente con rigore alcune composizioni originali tratte dal suo album «Nuna» del 2022 (Pi Records), non ha tralasciato infatti di rendere omaggio alla grande tradizione della sua terra, eseguendo anche una trova, un son e un bolero.

La Exploding Star Orchestra di Rob Mazurek, in una formazione in parte diversa da quella che ha eseguito le musiche del recente Live registrato all’Adler Planetarium di Chicago (Nicole Mitchell, Damon Locks, Angelica Sanchez, Ingebrigt Håker Flaten, Pasquale Mirra e Victor Vieira-Branco, Mikel Patrick Avery e Gerald Cleaver), ha eseguito un concerto trascinante sin dalle prime note, come ben sa chi ha assistito alle performance di questa straordinaria compagine orchestrale, una delle più creative e vitali del jazz statunitense di oggi. Il lavoro visivamente simmetrico e complementare dei due vibrafoni e delle due batterie, il fondamentale apporto del pianoforte di Angelica Sanchez, il granitico sostegno del contrabbasso di Håker Flaten, le volate solistiche del flauto di Mitchell, il sempre fondamentale ruolo vocale e coreutico di Locks, la ferrea conduzione di Mazurek e i suoi ottoni a tratti cherriani, hanno garantito la perfetta riuscita dell’applaudito set e l’esecuzione delle complesse composizioni di Mazurek. Non secondario l’aspetto visivo, affidato alla proiezione delle Radical Chimeras, trasfigurazioni visive del suono in immagini ferme e in movimento, appositamente realizzate dal leader per questa esibizione.

Nicole Mitchell ha anche suonato un set in duo con il batterista britannico Mark Sanders, con il quale collabora sin dal 2017. Il set di improvvisazione ha centrato pienamente il segno grazie all’ottimo interplay e al sapiente uso da parte della flautista della voce e dell’elettronica.

Sul fronte europeo, altrettanto interessante è stato il concerto della Fire! Orchestra di Mats Gustafsson, ampia formazione con otto fiati (oltre al leader), una ritmica potentissima (due batterie, percussioni, basso elettrico e basso tuba) e pianoforte. Momenti d’atmosfera, volate collettive free, potenti riff e vamp dei bassi a supportare i vorticosi fraseggi dei fiati, in un rituale vincente costantemente stimolato dalla dinamica conduction di Gustafsson, con brani per lo più tratti dall’album «Echoes».

Next to Silence il nome del quintetto macedone che ha suonato in un applaudito concerto notturno una gradevolissima fusion con interessanti inserti vocali, dopo la premiazione del sassofonista del gruppo Kiril Kuzmanov quale miglior musicista macedone dell’anno.

Nella sua concezione estetica fascinosa ma piuttosto distante dal jazz nel suono, tra poetry e spoken word, il sassofonista tenore britannico Alabaster Deplume, accompagnato da una ritmica femminile di matrice rock, ha eseguito il suo set notturno, inframezzato da parti vocali, sino a una canzone eseguita accompagnandosi alla chitarra.

In sostanza, l’ennesima conferma dell’importanza del festival nordmacedone, che si avvale anche di tecnici del suono di grande qualità, di un’organizzazione inappuntabile e di una invidiabile cura grafica dei poster e del catalogo.